Endemol Shine cambia i programmi «Creiamo format innovativi e clonabili»

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MILANO

PARLARE di televisione con Leonardo Pasquinelli è un po’ come parlare di calcio con Arrigo Sacchi o di sci con Alberto Tomba. Sessantaquattro anni, livornese purosangue, ceo di Endemol Shine Italy, Pasquinelli ha passato la vita in tv, o meglio, a far tv. Fin dagli anni Settanta, quando nelle tv locali («prima la tv era pirata, poi libera, poi privata») bisognava saper fare un po’ di tutto, dall’annunciatore al montatore, al cameraman. Oggi Pasquinelli è a capo di una delle prime società di produzione televisive in Italia che realizza le fiction e i programmi di intrattenimento più noti al grande pubblico. Endemol Shine Italy fa parte del colosso Endemol Shine, multinazionale che produce format televisivi in tutto il mondo in oltre 70 territori, forte di una library di migliaia di titoli.

Dottor Pasquinelli, è sempre redditizio il business televisivo?

«E’ sempre più difficile mantenere i livelli di redditività, perché l’approccio dei broadcaster è diventato più aggressivo, tutti siamo alla ricerca del risparmio, sia i nostri clienti, sia noi. Abbiamo imparato a fare il prodotto con minori risorse cercando di mantenere lo stesso livello di qualità. Quindi, per rispondere alla sua domanda, direi che è ancora redditizio ma è sempre più faticoso. Dobbiamo fare più prodotto per arrivare allo stesso risultato».

Qual è il vostro fatturato?

«Da qualche anno è stabile, attorno ai 100 milioni di euro».

Quali sono i vostri principali clienti attualmente?

«Rai, Mediaset, Sky e Discovery».

Hanno profili ed esigenze diverse. Cosa significa per voi? Confezionamento di prodotti mirati adatti a ciascuna rete?

«Bisogna sedersi accanto al cliente e provare a costruire insieme a lui le opportunità per offrire il migliore prodotto. Questo significa avere una struttura interna marketing molto forte, avere il polso del mercato, avere un’azienda che studia, che arriva preparata all’appuntamento con le varie reti».

E con le varie piattaforme come Amazon o Netflix che rapporti avete?

«Abbiamo cominciato a conoscerci. Vedremo cosa nascerà, ma il processo è avviato. Certo che le logiche sono molto diverse rispetto alle tv generaliste».

I vostri programmi di punta quali sono?

«Due di grande successo sono Grande Fratello e Masterchef. Ma ce ne sono molti altri che ci hanno dato e ci danno grandi soddisfazioni come ad esempio Avanti un altro! che abbiamo venduto molto bene all’estero, Tale e Quale Show, o i game show come Soliti ignoti, che e’ stata una rivelazione, una vera bomba, e anche Caduta libera! e The Wall».

Com’è cambiato il gusto del pubblico negli ultimi anni?

«Paradigmatico è il caso di Masterchef. Dieci anni fa non avremmo mai potuto immaginare un successo come quello che ha avuto e una vita così lunga per un prodotto del genere, estremamente montato, con un ritmo di un certo tipo, con un linguaggio quasi cinematografico. Sky ha avuto coraggio. Se oggi ci sono certi programmi con una cura particolare del montaggio è grazie a Masterchef che ha aperto la strada. E’ riduttivo definirlo un programma di cucina, è un grande racconto costruito sulle storie personali dei concorrenti. Gli altri programmi di cucina sono gare, o tutorial, insegnano a cucinare. Tutta un’altra cosa. Masterchef, inoltre, ha aperto una strada, dopo sono arrivati grandi formati come Cucine da Incubo, un altro nostro grande successo».

La filosofia di Endemol casa madre è sempre quella che si riassume nello slogan ‘Think global, act local’? In altre parole quella di realizzare prodotti riconoscibili su scala mondiale in grado di sfondare sui mercati nazionali e dall’altra realizzare prodotti originali nati in Italia o negli altri singoli Paesi che possono però avere successo all’estero?

«Sì, le faccio l’esempio di Tale e quale Show che è spagnolo ma è un successo in tanti altri Paesi tra cui l’Italia. Avanti un altro!, format originale italiano, va in onda in 12 Paesi. Stimolare la creatività locale e valorizzarla a livello globale è la chiave di volta di Endemol Shine».

Come nasce un programma come Avanti un altro?

«Un autore ha dato l’idea per il meccanismo finale, quando il concorrente per vincere deve dare tutte le risposte sbagliate. Noi siamo partiti cercando un prodotto su misura per Paolo Bonolis. Quando l’autore ha avuto quell’intuizione per il gioco finale, insieme a Paolo abbiamo costruito tutto il programma attorno per arrivare lì. Insieme al suo team creativo, Paolo è riuscito a creare il mondo e il clima vincente per il programma. Noi pensavamo che all’estero senza Bonolis non avrebbe funzionato, invece ci sbagliavamo, è andato benissimo comunque».

Il sistema italiano di produzione televisiva è sufficientemente vivace e creativo?

«Potrebbe esserlo molto di più. Ma c’è un vizio culturale storico: l’autore italiano ha grande creatività ma poca razionalità. Il concetto di format significa che si parte da un’idea, geniale o non geniale che sia, più originale è e meglio è, ma attorno a questa bisogna poi costruire un percorso razionale perché quell’idea diventi qualcosa di identitario, ripetibile, proteggibile. Ecco, diciamo che questo pezzo in Italia è sempre un po’ mancato. Forse per un po’ di snobismo. E’ per questo che i format italiani che girano il mondo sono pochissimi».

E’ vero che Israele esporta più di noi?

«Sì, ma anche la Turchia comincia ad esportare. E il formato dell’anno, un grande successo anche negli Usa di cui noi abbiamo i diritti per l’Italia, è The Masked Singer, un format sudcoreano. Per essere buoni esportatori c’è necessità di avere un buon mercato interno, che deve essere stimolante e coraggioso. E questo da noi un po’ è mancato».

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