Ecco cos'è davvero il Mes. La rissa? Tutta ideologica

Il fondo per la Sanità vale 37 miliardi, ma fa risparmiare solo 300 milioni l’anno. E, sebbene non ci sia più la Troika, è subordinato a una verifica sul nostro debito

Cos'è il Mes

Cos'è il Mes

Le grane, come si sa, non vengono mai da sole. Nel caso del governo, quella del voto di oggi sul Mes, è doppia. Si dovrà decidere non solo sulla riforma del cosiddetto Fondo salva-Stati ma anche sulla linea di credito decisa, al suo interno, per fronteggiare l’emergenza Covid. Su entrambi gli argomenti ci sono ragioni per far scattare il disco verde e altre per rispedire tutto al mittente. Ma l’argomento è decisamente ostico. E nelle ultime settimane, fra euro-scettici ed euro-entusiasti, c’è stato un dibattito – a tratti fortemente ideologizzato – che ha fatto perdere di vista i temi concreti al centro delle decisioni. Andiamo con ordine.

La riforma

A metà del 2019 l’Europa ha deciso di riformare il Mes, anche con il contributo del nostro Paese. Il Meccanismo europeo di stabilità, o Fondo salva-Stati, è un organismo intergovernativo che ha la nobile missione di aiutare i Paesi in difficoltà. Può attivare prestiti fino a 700 miliardi. A patto, però, che lo Stato si sottoponga alla famosa troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) che può imporre medicine amare: tagli alla spesa pubblica e alle pensioni, privatizzazioni e liberalizzazioni. In passato è accaduto in Grecia, Irlanda, Cipro e Portogallo.

I pro e i contro

La prima modifica al Mes prevede che le eventuali linee di credito non siano accompagnate da accordi capestro sulle riforme. La norma, però, è di fatto annullata da un altro ’codicillo’ che ne restringe l’ambito di applicazione solo ai Paesi in regola con i parametri di Maastricht. L’Italia sarebbe esclusa. La seconda variazione è quella sul ’backstop’, un fondo di ultima istanza con una dote di 55 miliardi da attivare in caso di crisi bancarie sistemiche.

La sua operatività verrebbe anticipata al 2022. Ma il capitolo più critico è quello che rende più facile ’ristrutturare’ il debito pubblico dei Paesi in difficoltà. Che cosa significa, in soldoni? Semplice: i privati che hanno prestato soldi agli Stati membri potrebbero perdere una parte dei loro risparmi. Sulla carta sembra un vantaggio per le finanze pubbliche. In realtà, rischia di trasformarsi in un boomerang: i creditori, infatti, potrebbero chiedere tassi di interesse più alti per fronteggiare questo ulteriore rischio.

I fondi anti-Covid

C’è poi l’altra questione sul tappeto, la linea di credito creata ad hoc all’interno del fondo salva-Stati per aiutare i Paesi europei ad uscire dalla pandemia. Per l’Italia sarebbero a disposizione 37 miliardi. Non sono un ’regalo’, ma un prestito con un tasso di interesse molto basso, lo 0,1%. L’unica condizione è di utilizzarlo per il finanziamento ’diretto o indiretto’ delle spese sanitarie. Ma anche in questo caso, non mancano le ragioni contrarie. I vantaggi, in termini di risparmi, sarebbero minimi: 300 milioni all’anno. Inoltre, l’operazione sarebbe preceduta da una valutazione ’semi-automatica’ sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. L’ennesimo esame. Senza considerare, poi, la ricca dote già a disposizione con il Next generation Ue (finora indicato spesso come Recovery fund): circa 200 miliardi, in parte a fondo perduto. Ci sarà, insomma, qualche spiegazione al fatto che fino ad ora nessun Paese europeo ha deciso di utilizzarlo.

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