Giovedì 25 Aprile 2024

E-commerce, tsunami su negozi e ipermercati. "Si salvano offrendo web e servizi"

La ricetta dell’economista Fulvio: una trasformazione epocale, ma i commercianti possono aggiornarsi

Quanto vale l'e-commerce

Quanto vale l'e-commerce

Milano, 12 febbraio 2020 - "Il commercio online cresce a due cifre, ogni anno, e in futuro il trend resterà quello. Intanto, negli ultimi 10 anni, hanno chiuso 64mila negozi di vicinato in Italia. Una correlazione c’è". Fabio Fulvio, responsabile del settore politiche per lo sviluppo di Confcommercio, dirige la collana di guide dell’associazione (‘Le bussole’). Dottor Fulvio, con l’avvento dei colossi dell’e-commerce è cambiato il modo di acquistare degli italiani. Quali riflessi? "L’impatto si sente sui negozi di vicinato ma, ultimamente, anche sui centri commerciali: la grande distribuzione, infatti, ha trovato un concorrente temibile in termini di assortimento e prezzi bassi. E gli italiani comprano ancora relativamente poco online, rispetto a francesi, tedeschi e americani, per cui la fetta crescerà ancora. Ma non vogliamo demonizzare nessuno, decide il consumatore". Sì, ma il tessuto cittadino non si impoverisce? "Questo è un tema. Se i negozi che chiudono cominciano a essere tanti, passeggiare per il centro è meno attraente. È una riflessione da fare: magari online il consumatore risparmia qualcosa, ma poi è più scontento come cittadino". Come fa un piccolo commerciante a contrastare gli sconti e i servizi dei colossi online? "Deve puntare sull’esperienza di acquisto. Ormai online si compra di tutto, quello che può fare la differenza è, da un lato, la capacità di relazione e la competenza, ossia la possibilità di diventare ‘consulente’ del cliente; dall’altro la scelta di servizi collegati. Il mio negozio di fiducia per l’attrezzatura da sub, ad esempio, organizza escursioni, vacanze, facilitazioni per l’upgrade del brevetto e così via. Magari la muta è un po’ più cara, ma ha senso comprarla lì". E se uno sceglie di competere su internet, magari proprio sulle grandi piattaforme? "La prima cosa è avere un sito (il 38% ancora non ce l’ha), saperlo gestire e applicare una strategia Seo per essere ben posizionati nelle ricerche di Google. La seconda è utilizzare i social per fare marketing (circa il 60% dei negozianti ancora non lo fa), creando gruppi di clienti e appassionati o proprio per la pubblicità. Il terzo step è vendere online: attraverso eBay e, certo, anche Amazon, si possono raggiungere facilmente i mercati esteri. Insomma, il mestiere di commerciante è cambiato, bisogna essere sul pezzo" C’è anche chi fa pagare le ‘prove’ dei vestiti perché è stanco dei clienti che li indossano nel negozio ma poi li comprano con un click... "Sono provocazioni di negozianti esasperati. Il fenomeno si chiama showrooming, difficile scongiurarlo. L’unica è far capire al cliente quanto si è competenti, sperando che, magari, la prossima volta torni". Anche i centri commerciali accusano il colpo, una delle strategie è il ritorno di piccoli supermercati local. Come la spiega? "Ora che si può avere tutto con un click, fare 20-30 chilometri per andare a fare la spesa in un grosso ’scatolone’ fuori città è diventato meno interessante. Anche nell’alimentare c’è un ritorno al ’piccolo’, ma che sia un punto vendita con un alto livello di esperienza d’acquisto". Le istituzioni possono fare qualcosa? "Stesso mercato, stesse regole, questo vorremmo. Attualmente ci sono oggettive disparità economiche tra negozi fisici e colossi del web. A partire dalla questione fiscale: le tasse andrebbero pagate dove viene prodotta la ricchezza".

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