"Draghi non è l’anti Robin Hood. La riforma fiscale aiuta i poveri"

L’economista De Romanis: oltre ai tagli Irpef, l’assegno unico e le detrazioni vanno a vantaggio dei redditi bassi

Mario Draghi

Mario Draghi

Con la riforma fiscale, il governo Draghi non ha indossato gli abiti di un Robin Hood all’incontrario, che toglie ai poveri per dare ai ricchi. Veronica De Romanis, economista con studi fra Roma e la Columbia University, ha sulla sua scrivania le tabelle con effetti del taglio delle tasse. "È un primo passo. Certo, non grande. Le risorse sono limitate. Ma, se devo essere sincera, quello che mi preoccupa di più sono le coperture finanziare per i prossimi moduli della riforma fiscale. Questa volta si è deciso di tagliare le tasse facendo maggiore debito. Ma, se davvero vogliamo ridurre la pressione fiscale in maniera strutturale, sarà necessario ridurre la spesa pubblica".

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Ma è vero che il governo dà molto ai redditi medi penalizzando quelli più bassi?

"Per la verità, le tabelle sugli effetti della riforma dicono un’altra cosa. Soprattutto si guarda all’incidenza percentuale dei risparmi sul reddito disponibile. Chi dice che i ceti medi guadagnano di più, dimentica di dire che i ceti più bassi possono contare su un’altra serie di interventi, che vanno dall’assegno unico universale alle detrazioni".

Quindi, è stato giusto dare un segno al ceto medio?

"L’idea del governo è stata anche di tenere alta la domanda e sostenere i consumi per accelerare la ripresa economica".

Cgil e Uil avrebbero voluto concentrare i 7 miliardi a disposizione per il taglio delle tasse esclusivamente sui redditi più bassi, fra i 15 e i 25mila euro.

"La realtà è diversa. C’è stato, ad esempio, un aumento delle soglie per la cosiddetta No tax area, oltre a interventi specifici per i redditi più bassi. Quello che si poteva fare, ed è stato proposto da Draghi senza fortuna, era il contributo di solidarietà per i redditi più alti. Le simulazioni del Mef dicono anche che i risparmi maggiori andranno alle famiglie numerose, per effetto dell’assegno unico e delle detrazioni".

Ma è davvero così?

"È stato un modo per compensare uno dei problemi più grandi del reddito di cittadinanza: favorisce i single e penalizza le famiglie numerose. Noi sappiamo, invece, che a pagare il prezzo più alto della crisi sono state le famiglie numerose con donne sole e figli minori".

E quanto è utile l’assegno unico?

"È uno strumento molto utile, razionalizza tutti i bonus che, con qualche sforzo di fantasia, si sono accumulati negli anni. C’è, però, una cifra uguale per tutti oltre i 40mila euro. Capisco la logica, i figli sono della collettività. Ma questa è un principio che possono permettersi Paesi come la Germania, che hanno un debito pubblico del 35-40% inferiore al nostro. Per i redditi più alti, un assegno minimo di 50 euro serve davvero a poco: non sostiene la domanda e non serve per incentivare la natalità".

Si era parlato tanto di ridurre il cuneo fiscale ma, alla fine, il risultato pare molto limitato...

"Credo che sarà questo il passo successivo. Non abbiamo ancora capito che le tasse sono così alte perché finanziano spese consistenti che, spesso, non sono andate laddove c’era più bisogno e non sono state utilizzate in maniera efficiente. Invece, occorrerebbe una spending review di lungo termine, riequilibrando il mix della spesa pubblica, oggi sbilanciato a favore della previdenza. Un programma da mettere nelle mani alla politica e non in quella dei commissari tecnici".

Non colpendo tutti allo stesso modo, il Covid ha aggravato il problema della redistribuzione delle risorse?

"Se, nella prima fase dell’epidemia, è stato giusto dare sostegni un po’ a tutti, in quella successiva sarebbe stato necessario una maggiore selettività, perché l’impatto della crisi non è stato uguale per tutti e neanche la ripresa lo è. Solo per fare un esempio, il bonus del 110% è una misura fortemente regressiva, favorisce maggiormente i ceti che hanno già una casa e non incentiva il risparmio".