Mercoledì 24 Aprile 2024

Domenico Cempella e l'ultimo volo di Alitalia

All'indomani della scomparsa del manager che risanò la compagnia di bandiera nei primi anni del nuovo secolo, un giovane dirigente di allora, Agostino Di Maio, ne traccia il ruolo decisivo per quelli che furono l'ultimo, vero risanamento, e l'ultimo, reale rilancio dell'azienda.

Domenico Cempella, ex ad Alitalia

Domenico Cempella, ex ad Alitalia

Con la morte di Domenico Cempella, spentosi ad 83 anni per un attacco cardiaco, il Paese perde uno dei suoi migliori manager: carismatico, divenuto Amministratore delegato di Alitalia dopo essere stato assunto giovanissimo come semplice addetto di scalo, conosceva il trasporto aereo come le sue tasche e guidò la Compagnia aerea di bandiera dal 1996 al 2001 riportandola in attivo dopo anni assai difficili. Si circondò di una squadra di manager competenti e capaci di supportare la sua visione strategica convinto che il management fosse la chiave  di successo del Piano di risanamento aziendale, come ebbe a dichiarare in una bella intervista rilasciata a Gianni Minoli nel 2017.

Ebbi la fortuna di essere chiamato a lavorare nel maggio del 1998 nella Direzione del personale di quell’Alitalia targata Cempella e di vivere in prima fila un’esperienza professionale straordinaria in una azienda proiettata verso uno sviluppo divenuto finalmente una prospettiva realistica.

Nel 1998 le condizioni per la ricapitalizzazione dell’Azienda poste dall’Azionista (Tesoro) e da Bruxelles erano pesantissime. Alitalia poteva essere ricapitalizzata solo a condizione di una sua profonda ristrutturazione che passava anche attraverso un pesante saving dei costi, primo fra tutti quello del lavoro.  Una serie di accordi sindacali, per l’epoca assai avanzati, conseguirono gli obiettivi prefissati sia per quanto riguarda il personale navigante  (assistenti di volo e piloti) che quello di terra (manutenzioni e scali) anche mediante  il prepensionamento dei dipendenti piu anziani e costosi, ma non solo. Furono messi a terra (face out) aerei obsoleti e dispendiosi con costi di gestione elevati come i gloriosi 747 con la contestuale scomparsa della figura del tecnico di volo, cioè colui che siedeva in cabina con i due piloti in quel tipo di aeromobile.

Nacque una nuova leva di piloti e di comandanti, furono faticosamente negoziate scale retributive meno onerose per l’Azienda e venne creata una neo compagnia – denominata Alitalia Team, una specie di antesignana delle moderne compagnie low cost – il cui personale di volo di cabina e di condotta aveva limiti di impiego (cosiddetti tempi di volo e di servizio) più ampi  e retribuzioni  meno elevate dei loro colleghi ancora operativi in Alitalia.

Parte del traffico di quest’ultima venne “travasato” in Alitalia Team. Contropartita di questi sacrifici sul versante del costo del lavoro fu l’introduzione dell’azionariato diffuso tra i dipendenti, chiamati a partecipare al capitale sociale della Compagnia con 520 miliardi di lire in azioni, non trasferibili per un triennio, attribuite in egual misura a piloti, assistenti di volo e dipendenti di terra. Contestualmente alcuni rappresentanti dei lavoratori fecero il loro ingresso nel Consiglio di Amministrazione dell’Azienda. La Compagnia  ristrutturò sia la sua flotta puntando di più sul lungo raggio con l’acquisto di numerosi aeromobili che il suo network, tagliando rotte improduttive: ricordo ancora quando fui catapultato, in pratica da neo assunto, nella trattativa per la chiusura degli scali, in perdita, di Lampedusa e Pantelleria.

Ma il vero capolavoro di Cempella e del “suo” management fu l’alleanza con Klm.

Le due Compagnie erano straordinariamente complementari. Gli olandesi operavano nel trasporto aereo secondo le stesse logiche che avevano utilizzato tre secoli prima con le navi corsare negli oceani di mezzo mondo: Paese relativamente piccolo, senza traffico domestico, KLM aveva un’imponente flotta di lungo raggio che convergeva nel sovraffollato scalo di Schiphol dal quale redistribuiva  poi il traffico in tutto il mondo ed una significativa flotta cargo, che Alitalia non possedeva in misura adeguata.

La nostra Compagnia di bandiera era invece seduta su un paniere dalle uova d’oro, che però non poteva sfruttare: un bacino di utenza (effettivo e potenziale)  straordinario, la più remunerativa rotta di corto raggio al mondo (la Roma-Milano), i milioni di italiani sparsi nel mondo che volevano volare solo AZ, una posizione geografica che la candidava naturalmente ad intercettare sia il traffico da e verso occidente (nelle Americhe) che ad oriente, per non parlare dell’emergente mercato del Nord Africa.

La fusione (“merger” lo chiamavamo in Azienda) avvenne secondo logiche manageriali anch’esse innovative. I due partner divennero soci paritari al 50%, tutto il network delle due Compagnie fu messo in comune e diviso in due grandi articolazioni: una Divisione Passeggeri, con a capo un manager olandese, ed una Divisione Cargo con a capo un italiano. In pratica laddove le due Compagnie erano piu “forti” il vertice era espresso dall’altra azienda.

Ricordo che in quasi tutte le stanze del management avevamo una mappa del mondo con sopra disegnato il network dell’Alleanza e le sfere di competenza delle due “Divisioni”. Gli omini verdi (i nostri) e gli omini blu (quelli di Klm), con i quali si simboleggiava graficamente la copertura del territorio, abbracciavano gran parte del traffico aereo mondiale. Quella specie di risiko simboleggiava la nascita della prima compagnia aerea europea (superiore ad Air France, British e Lufthansa) e di un player che se la giocava con le Big Five a livello mondiale.

Era evidente  che i nostri concorrenti europei non sarebbero stati alla finestra, e la reazione non si fece attendere.

I  pilastri “fisici” sui quali  si fondava l’Alleanza erano i tre Hub (mega aeroporti sui quali far confluire il traffico per poi redistribuirlo nelle destinazioni finali)  di Schiphol, Fiumicino e Malpensa: l’hub olandese avrebbe presidiato il traffico intercontinentale e del nord Europa (drenando il traffico di  Heathrow), Malpensa avrebbe rotto le uova nel paniere di Air France e Lufthansa facendo concorrenza a Charles De Gaulle  e Francoforte, Fiumicino sarebbe stato il presidio delle più remunerative rotte nazionali e del traffico internazionale, oltre che del promettente traffico intercontinentale ora supportato da un flotta idonea.

Purtroppo questo disegno organizzativo non si realizzò per due motivi. Il primo fu una intensissima ed ostile attività di lobbying dei nostri concorrenti a livello comunitario (antitrust) e del commissario (inglese)  ai trasporti dell’epoca, alla quale il nostro Paese non seppe opporre una resistenza ed una difesa degli interessi nazionali degne di questo nome. Il secondo furono le diatribe interne tutte italiane con la feroce polemica sulla ripartizione del traffico aereo tra Malpensa e Linate e l’infinita querelle Fiumicino/Malpensa. Una lite da cortile della politica nostrana combattuta prima a colpi di decreto del Ministro dei trasporti dell’epoca, che cambiavano di volta in volta le regole del gioco, e poi culminata  con una telefonata di questi a Cempella il giorno prima dell’inizio delle operazioni che di fatto annullava l’imminente  trasferimento del traffico da Linate a Malpensa. Veniva in questo modo sbriciolata in un colpo solo sia l’infrastruttura operativa dell’Alleanza sia la nostra credibilità come Azienda e come sistema Paese.

Ero in azienda quando pochi mesi dopo verso l’imbrunire giunse un fax di 20 righe con il quale Klm, a sole 24 ore dalla scadenza del termine entro il quale il merger sarebbe stato definitivo, rompeva l’alleanza. Preferirono pagare, condannati in un arbitrato internazionale, 250 milioni di penale piuttosto che legarsi ad un sistema Paese, di cui Alitalia  era ahimè espressione, incapace di mantenere gli impegni assunti.

Poco dopo Cempella (febbraio 2001) lasciò l’Azienda che aveva contribuito in maniera decisiva a risanare, Alitalia rimase a lungo  la grande “zitella” nel valzer delle Alleanze nel trasporto aereo, mentre Klm dopo pochi anni di fatto fallì, venendo acquisita per un cifra irrisoria da Air France.

L’Italia aveva definitivamente archiviato qualsiasi sogno di protagonismo nel trasporto aereo a livello mondiale ma anche europeo. Come sempre in questi casi cominciò anche una lunga ma progressiva mutazione del quadro manageriale, a tutti i livelli, creando anche qui i presupposti di ciò che sarebbe accaduto dopo. Era iniziato un lungo piano inclinato che avrebbe accompagnato Alitalia fino all’11 settembre del 2001, drammatico appuntamento con la storia al quale l’Azienda si presento già in ginocchio e che avrebbe cambiato radicalmente anche il trasporto aereo.

Ma questa è un’altra storia

* Ex manager di Alitalia, oggi direttore generale di Assolavoro

 

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