Giovedì 25 Aprile 2024

Dna tedesco, testa francese e controllo di Frau Angela La Bce del dopo Draghi è un affare per donne forti

BERLINO

I TEDESCHI amano la Bundesbank, severa e protettrice, la Banca Centrale che per decenni ha difeso il Deutsche Mark, unico simbolo nazionale dopo la guerra perduta. E preferiscono chiamarla con un nomignolo, la Buba, affettuoso e familiare. Nata in ritardo, nove anni dopo la Repubblica Federale, il primo agosto del 1957, aveva il dovere sancito dalla Costituzione di difendere la stabilità del marco. La drammatica inflazione di Weimar, quando un uovo costava un miliardo al mattino e dieci al pomeriggio, è impressa nel ricordo comune, tramandata di generazione in generazione.

BUBA über alles, indipendente e orgogliosa, sempre pronta a opporsi ai desideri dei politici, e alle trame degli speculatori internazionali. E a vincere, quasi sempre. E a perdere con dignità, di rado, anzi forse solo una volta. «Guardi – mi disse Hans Tietmeyer, direttore dal ’93 al ’99 – che il presidente della Banca Centrale a Roma ha più poteri di me». Il presidente della BuBa, non è un dittatore, solo un primus inter pares, deve convincere i membri del consiglio che ha ragione, ma il suo voto vale per due solo quando si finisce in pareggio.

DOPO la caduta del muro, ancor prima della riunificazione (ottobre 1990), Helmut Kohl regalò ai tedeschi dell’est il Deutsche Mark al cambio alla pari con il marco orientale, quando quello reale era di dieci a uno. Un regalo di benvenuto. Karl Otto Pöhl, il direttore della Bundesbank, si oppose con tutte le forze. «Una follia», protestò disperato. «È una scelta politica, non finanziaria», rispose il Cancelliere. Cosa contano i miliardi di marchi contro lo storia? Pöhl obbedì, e poi si dimise. Il prezzo della riunificazione fu la rinuncia all’amato Deutsche Mark, imposta da Mitterand fiancheggiato da Andreotti, nacque l’euro. «Purché sia stabile come il marco» pretese Kohl. Così la valuta unica è una copia, e la Banca Centrale Europea è simile alla BuBa, il suo compito è difendere la stabilità. Schuld, in tedesco, significa colpa e anche debito. Ma l’ossessione tedesca ha un suo fondamento: l’inflazione non risolve i problemi, droga per breve tempo la ripresa, è una tassa occulta pagata da chi vive con un reddito fisso, dipendenti e pensionati.

Negli Anni Settanta, quando la Volkswagen era in crisi, i responsabili dellla casa di Wolfsburg andarono dal cancelliere Schmidt a chiedere che intervenisse sulla BuBa: le continue rivalutazioni del Deutsche Mark aumentano il prezzo del Made in Germany, all’estero il Maggiolino costa troppo. «Fate auto migliori o chiudete» rispose Schmidt. Ci riuscirono. Noi per decenni per aiutare l’export abbiamo puntato su continue svalutazioni, come un drogato costretto a prendere dosi sempre più forti.

OGGI gli italiani accusano Frau Angela e l’euro di essere responsabili di tutti i loro mali. In passato era la BuBa il nostro nemico, che di anno in anno metteva in ginocchio la lira. Nel 1992 si scatenò una tempesta valutaria. Noi continuavamo a svalutare e Helmut Schlesinger, il direttore della Bundebank, continuava a ripetere spietato: «Non basta». Infine Giuliano Amato decise la stangata sui conti correnti che fruttò 11.500 miliardi di lire. «È un make up sul bilancio in rosso», sentenziò Schlesinger, ma poi si chiuse un occhio sui nostri debiti, e ci lasciarono entrare nel club dell’euro. Non per bontà, se fossimo restati fuori saremmo stati un pericolo per l’Europa. Ora tutti gli Herren des Geldes, i signori del denaro, gli europei e i tedeschi, si ritrovano a Francoforte. La sede della Buba è una costruzione massiccia in cemento, nello stile del primo dopoguerra, non a caso definito ‘Brutalismus’. Pochi fronzoli, quel che conta è la solidità. Ma la nascita della Banca Europea l’ha declassata, protesta e non comanda.

LA PRIMA sede provvisoria della Bce era nella Kaiserstrasse al numero 29, che attraversa il quartiere a luci rosse, tra bordelli e prostitute. Sesso e denaro, un binomio classico. Poi si è trasferita in un grattacielo, ma con i suoi 185 metri giunge appena al settimo posto. Alcune banche svettano ancora più in alto.

È in Germania, ma il suo capo non è mai un tedesco. Meglio non strafare, e mantenere il controllo. Quando al comando giunse Mario Draghi (stipendio 389mila euro), la popolare Bild Zeitung pubblicò la sua foto con l’elmo chiodato di Bismarck in testa, simbolo per loro delle antiche virtù prussiane: «È italiano ma sembra un tedesco» diceva il titolo. Draghi contro tutti? Le sue decisioni sono sempre state prese dopo l’intesa con Frau Angela, non sarebbe possibile altrimenti. Al capo della Buba, Jens Weidmann, è rimasto il ruolo del poliziotto cattivo: urlare per rassicurare i tedeschi, e alla fine dire di sì.

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