Giovedì 18 Aprile 2024

Decreto dignità, sos lavoro. Bomba precari: 53mila a spasso

Per effetto del provvedimento a gennaio boom di contratti non rinnovati. Imprese e agenzie denunciano: così si favorisce chi sfrutta gli irregolari

Operai al lavoro dentro una fabbrica (Foto Cusa)

Operai al lavoro dentro una fabbrica (Foto Cusa)

Roma, 6 dicembre 2018 - Circa 53mila lavoratori avviati dalle Agenzie per il Lavoro rischiano di dover essere lasciati a casa per effetto del Decreto Dignità e, specialmente, per una circolare del Ministero guidato da Luigi Di Maio che ha finito per restringere le maglie già rigide del provvedimento originario. A lanciare l’allarme sono i vertici di Assolavoro, l’Associazione degli operatori privati. Ma, come non bastasse, a un mese dall’avvio operativo di tutte le nuove regole, scende in campo anche lo stato maggiore di Federmeccanica che, nella tradizionale indagine congiunturale, sottolinea come il 30% delle imprese non rinnoverà, alla data di scadenza, i contratti a tempo determinato in essere. Immediate le reazioni delle opposizioni: dal Pd a Forza Italia, è un coro di critiche al pacchetto varato a luglio scorso e ai suoi effetti. 

La doppia denuncia dei rischi effettivi che corrono migliaia di lavoratori con contratti a termine o in somministrazione arriva nello stesso giorno, ma rischia di essere solo la prima di una lunga serie. In tutti i settori – spiegano da Confindustria – si sta registrando lo stesso fenomeno segnalato da Federmeccanica. E non sono da meno le preoccupazioni che emergono dalle associazioni del commercio e dei servizi. Un quadro che potrebbe essere aggravato dall’incalzare della possibile recessione.  «L’occupazione non si crea con le norme di legge – spiega Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica – ma dipende dalla stabilità della crescita. Certo è, però, che la flessibilità aiuta i percorsi di assunzione, la rigidità no assolutamente». 

Il problema è che, oltre al decreto di luglio, a determinare effetti ancora più devastanti è addirittura una circolare applicativa del ministero del Lavoro dello scorso 31 ottobre. Secondo le stime degli esperti di Assolavoro, infatti, saranno circa 53.000 le persone che dal 1° gennaio 2019 non potranno essere riavviate al lavoro dalle Agenzie perché raggiungeranno i 24 mesi di limite massimo per un impiego a tempo determinato. Ma si tratta di una previsione prudenziale: si potrà arrivare a oltre 60 mila. 

«È l'effetto della circolare del Ministero -– si sottolinea – che ha considerato compresi nelle nuove misure anche i lavoratori con contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Dignità». In sostanza, anche se un lavoratore ha avuto un contratto temporaneo nel 2013 o nel 2014, questo fa salire il suo contatore di rapporti a tempo determinato. Una interpretazione che fa diventare retroattivo il provvedimento del luglio scorso, con danno per migliaia di lavoratori che rimarranno disoccupati entro poche settimane. «Non è nostra abitudine, né nostro obiettivo quello di accendere situazioni di conflittualità, né sociale, né istituzionale – avvisa Alessandro Ramazza, presidente di Assolavoro –. Rileviamo quello che sta accadendo nel mercato del lavoro e i dati sono preoccupanti. Se vi è un calo del numero di persone occupate in somministrazione non si tratta di un problema del settore, è un problema per tutti». E il perché è presto detto. «Perché – insiste Ramazza - per alcuni, pochi, scatteranno contratti di lavoro a tempo indeterminato, secondo una tendenza non recente e che riguarda direttamente le Agenzie. Circa il 10% di chi lavora in somministrazione, infatti, è assunto a tempo indeterminato e la curva continua a rimanere in crescita. Per molti altri, la maggior parte, non lavorare più tramite Agenzia corrisponderà a essere impiegati con formule meno tutelanti o irregolari o ancora a non avere altre opportunità almeno nell’immediato».    L’indice è tutto puntato contro la circolare del ministero del Lavoro, che ha incluso nel limite dei 24 mesi i contratti a termine o somministrati precedenti al cosiddetto Decreto Dignità, «determinando effetti negativi che mai come in questo caso riguardano le persone, prima ancora che le imprese o il sistema economico». 

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