Giovedì 18 Aprile 2024

De Fusco: "Il Decreto Agosto è un tampone, non porta le imprese fuori dall'emergenza"

Intervista a Enzo De Fusco, uno dei principali consulenti del lavoro italiani: dalla proroga del blocco dei licenziamenti alla nuova cassa integrazione, agli incentivi per chi riapre fabbriche e uffici ai cassintegrati, tutte le misure dell'ultimo provvedimento del governo sotto la lente dell'esperto.

Enzo De Fusco

Enzo De Fusco

Roma, 20 agosto 2020 - Il decreto 'Agosto' è opeartivo da qualche gionri, ma non mancano interrogativi e incertezze sulle misure per il lavoro che vi sono contenute. Anzi, imprese e esperti del settore hanno a più riprese sottolineato i limiti del provvedimento: a cominciare dall'impostazione di fondo, emergenziale e legata ai sussidi, del pacchetto. "La sensazione - avvisa in questo senso Enzo De Fusco, uno dei più autorevoli consulenti del lavoro italiani - è che le persone sembrano voler reagire guardando al futuro con la voglia di tornare alla normalità. Il decreto, invece, non spinge verso la stessa direzione. Le norme sul lavoro inserite nel decreto che dovrebbero aiutare ad uscire dall’emergenza sono poche e poco appetibili. Non si può chiedere a una impresa di guardare al futuro con incentivi concessi per tre o quattro mesi a fronte dei quali si chiedono impegni vincolanti molto stringenti. Così le norme sono inutili e destinate a fallire».  

E' previsto, però, un sconto sui contributi per 4 mesi?

"Il problema è proprio questo. La norma prevede che le aziende che hanno usufruito della cassa a maggio e giugno possono godere di un esonero contributivo per un massimo di 4 mesi nei limiti del doppio delle ore di cassa utilizzate. Facciamo un esempio: ipotizziamo un’azienda del commercio di 100 dipendenti che ha messo in cassa integrazione a maggio e giugno l’equivalente di 40 dipendenti. Un datore di lavoro che utilizza l’esonero contributivo può avere un risparmio di contributi per i 4 mesi al massimo di 94.000 euro. Se invece l’azienda mettesse in cassa integrazione gli stessi 40 dipendenti otterrebbe un vantaggio economico di 199.000 euro. L’azienda otterrebbe lo stesso vantaggio economico dell’esonero contributivo mettendo in cassa integrazione anche solo la metà dei lavoratori". 

La cassa integrazione resta la soluzione più vantaggiosa, dunque. L'incentivo non funziona a queste condizioni. 

"Non c’è solo un profilo economico da valutare, ma anche la flessibilità degli strumenti visto che sono alternativi: se l’azienda optasse per l’esonero contributivo l’importo dell’agevolazione sarebbe fisso e vale per 4 mesi. Mentre con la cassa integrazione il datore di lavoro ha la possibilità di farsi autorizzare un numero di ore molto prudenziali e fino a fine anno potrebbe utilizzare le ore di cassa integrazione in funzione alle fluttuazioni del mercato che non sembrano andare in una prospettiva positiva. A questo va aggiunto che la norma fissa un tetto massimo a 800.000 euro e quindi le aziende di grandi dimensioni non avranno alcun interesse ad utilizzare questo sconto contributivo".

Il mercato del lavoro, con il ricorso massiccio alla cassa integrazione, non rischia di rimanere troppo al lungo drogato da questi strumenti?

"Sì, il rischio c’è. Però non possiamo negare che ci sono aziende Italiane che si trovano ancora in forte difficoltà. Le riduzioni di fatturato in alcuni settori vanno dal 30% al 60% con picchi anche dell’80%. Alcuni alberghi ancora non hanno riaperto perché mancano clienti. Bar e ristoranti delle grandi città soffrono per mancanza di turisti e dei dipendenti della pubblica amministrazione. Insomma, il nuovo pacchetto di 18 settimane di cassa integrazione era comunque necessario. Però va detto che il decreto così come impostato penalizza le aziende più virtuose, quelle ad esempio che hanno cominciato ad utilizzare più tardi il primo pacchetto di 18 settimane concesse con il decreto cura Italia e Rilancio. Infatti, per queste aziende le 18 settimane del Cura Italia non utilizzate entro il 12 luglio saranno nei fatti cancellate. In questo modo lo Stato con una mano concede le nuove 18 settimane di cassa e con l’altra mano si riprende parte delle precedenti 18 settimane di cassa integrazione". 

Se è per questo, c'è anche il nuovo contributo per avere la cassa Covid: è giusto averlo introdotto? 

"In Italia ci sono situazioni molto eterogenee rispetto alla crisi economica: settori che non hanno avuto alcun danno dal Covid, anzi in alcuni casi i fatturati sono aumentati. E settori che sono stati molto penalizzati. In questo contesto, trovo strano che il decreto consenta di accedere alla cassa integrazione Covid-19 anche alle aziende che non hanno subito alcuna riduzione di fatturato o addirittura lo hanno incrementato, sebbene pagando un contributo del 18%. Se il danno c’è lo Stato deve farsene carico. Se il danno non c’è le aziende devono tornare alla normalità senza poter accedere a strumenti emergenziali". 

Dal decreto spunta anche l’abrogazione della proroga automatica dei contratti a termine in presenza di cassa integrazione passata.

"È un atto di civiltà giuridica. L’unico rammarico è che ci sono aziende che hanno subito danni da questa norma scritta in violazione di qualunque regola del nostro ordinamento costituzionale. Questa norma andrebbe spiegata agli studenti di giurisprudenza come esempio di cosa non andrebbe mai fatto". 

Come valuta, invece, la prosecuzione del blocco dei licenziamenti?

"Anche su questo punto la strategia è strana. Da un lato si può capire che il legislatore in una condizione emergenziale prima di poter ripristinare le normali condizioni di circolazione dei lavoratori richieda alle imprese di esperire ogni tentativo di conservazione dei posti di lavoro e quindi utilizzare la cassa integrazione o l’esonero contributivo in base alle singole condizioni economiche. Dall’altro lato però questi strumenti emergenziali vengono imposti anche oltre ottobre che è il mese in cui termina lo stato di emergenza in Italia". 

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