Venerdì 19 Aprile 2024

De Fusco: “Sgravi per bollette, affitti e costo del lavoro: le tre leve salva-imprese"

Intervista a Enzo De Fusco, uno dei principali consulenti del lavoro italiani. E’ sua la soluzione del contratto di espansione che è uno degli strumenti più utilizzati dalle imprese in queste settimane per contrastare l'emergenza Coronavirus.

Enzo De Fusco

Enzo De Fusco

ROMA - Il 31 marzo dovrebbe finire il blocco dei licenziamenti e le imprese sono in mezzo al guado della pandemia: come muoversi in tempo per evitare il peggio?

“Il 2021 – avvisa Enzo De Fusco - deve essere l’anno delle imprese e solo così si riuscirà a risolvere indirettamente anche il problema dello sblocco dei licenziamenti che preoccupa tutti. E’ vero il 2021 è un anno critico ma può diventare anche l’anno del rilancio. Dipende dalle scelte. La soluzione è quella di cominciare ad agire strutturalmente sulle imprese consentendo loro di tornare a fare i profitti e in questo modo vedrete si risolverà anche il problema dei licenziamenti”.

Nell’immediato, però, lo scenario è drammatico: su quali nodi occorre agire?

“Le imprese hanno sostanzialmente tre problemi: incrementare i ricavi, avere un costo del lavoro coerente con i conti e aggiornare le competenze dei lavoratori ad un business che cambia velocemente. Il nuovo governo deve necessariamente aiutare le imprese con iniziative concrete su questi tre punti!”.

Cominciamo dal costo del lavoro: come ridurlo?

“Nel 2015 è stato introdotto il bonus Renzi di 80 euro mese tutto a vantaggio dei lavoratori. Nel 2020 è stato introdotto un ulteriore sconto fino ad arrivare a 100 euro sempre per migliorare la busta paga dei lavoratori. Il 2021 deve essere l’anno in cui tutte le risorse economiche e le Istituzioni italiane devono essere orientate e concentrate sulle imprese. Però bisogna affrontare questo problema in modo nuovo abbandonando logiche legate a bonus temporanei sottoposti a mille e disincentivanti condizionamenti”.

Come uscire dalla logica e dalla partica dei bonus in questo ambito?

Un altro tema decisivo è il costo del lavoro. Da anni si denuncia la scarsa competitività delle nostre imprese a causa della zavorra del costo del lavoro. Tutto vero e allora la prima cosa da fare è questa: nella legge di bilancio è stata prevista una riduzione del costo del lavoro nel Mezzogiorno per 10 anni nella misura che parte dal 30% che si riduce progressivamente negli anni. E’ una riduzione sostanziosa ma questa iniziativa deve essere estesa su tutto il territorio nazionale dove si produce il maggior Pil del Paese. Ad esempio, si può fare un patto con le imprese in cui si concorda che a fronte del 30% di sconto contributivo le imprese rinunziano ad avviare licenziamenti per motivi economici. Il costo è di circa 12 miliardi l’anno e non sono impossibili da trovare.  In questo modo le imprese avranno la possibilità di fare una pianificazione per i prossimi 10 anni necessari per gli obiettivi di risanamento”.

Esiste, però, anche il nodo delle nuove competenze dei lavoratori?

“E’ un problema enorme. Su questo punto, lo strumento del Fondo nuove competenze introdotto nello scorso anno è piaciuto molto alle imprese e già sono oltre 80.000 i lavoratori che sono entrati a far parte di percorsi di riqualificazione all’interno delle imprese.  Questa è una strada da perseguire anche nei prossimi anni aumentando sensibilmente gli investimenti pubblici. Ma in gioco devono essere messe anche altre opzioni che incidano sui costi di funzionamento delle imprese”.

Quali sono le altre leve?

«Un primo intervento deve riguardare i costi di funzionamento delle nostre imprese che sono più alti rispetto agli altri Paesi europei. In altri termini, in relazione ai settori che caratterizzano l’economia italiana, bisogna individuare i costi caratteristici e su quelli agire come Stato per ridurli fortemente. Non è difficile questa operazione perché ci sono già tutti i dati”.

Facciamo qualche esempio.

“Ad esempio, il costo dell’energia che pesa nel bilancio delle imprese industriali in modo significativo. Qui, è necessario prevedere un credito di imposta di almeno il 30% da spendere mensilmente nella bolletta e non anni dopo nelle dichiarazioni dei redditi. In questo modo le imprese hanno un’utilità immediata che darebbe luogo anche a nuova liquidità da investire. Ma occorre fare attenzione anche al settore dei servizi, turismo e commercio. In questo caso il loro principale costo di bilancio, insieme a quello delle risorse umane, è quello degli affitti. Anche in questo caso bisogna agire con un credito di imposta di almeno il 30% da scontare mensilmente anche attraverso la cessione a terzi. E’ determinante la modalità mensile con cui si riconosce il credito”.

Il problema di fondo, però, sarà far nascere nuove imprese.

“Assolutamente si. Oggi ci sono importanti agevolazioni per le start-up innovative. Non basta, bisogna incrementarle ed estenderle a chiunque decida di aprire una nuova impresa indipendentemente dal fatto che sia o meno “innovativa”. Il Ministero dello sviluppo economico con il nuovo Ministro può tornare a svolgere il suo vero ruolo di sviluppo. Ad esempio, si potrebbe pensare di introdurre l’assistente pubblico per le imprese: un esempio di assistente personalizzato che ad ampio spettro interviene di volta in volta per rimuovere ostacoli burocratici che dell’impresa a lui affidata. Per un imprenditore avere il ministero dello sviluppo economico dalla sua parte è un cambio di passo senza precedenti. Insomma, un facilitatore dello sviluppo. Visto che un processo di semplificazione si tenta da anni senza mai riuscirci, allora è meglio provare nuove formule di semplificazione realizzate in un Ministero che dovrebbe proprio preoccuparsi di sviluppare l’economia”.

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