Roma, 4 aprile 2025 – “Noi oggi avremmo bisogno di avviare un serio dialogo, come sistema industriale, con i rappresentanti dell’industria americana per vedere come si può lavorare insieme contro il vero nemico, che è la Cina. Questo è il punto e su questo servirebbe un’iniziativa dell’Italia, anche a nome dell’Europa, perché, in caso contrario, come effetto distorsivo dei dazi, le manifatture occidentali rischiano di essere spazzate via dalle sovrapproduzioni cinesi”. Nel giorno in cui il mondo fa i conti con le tariffe di Donald Trump, Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e uomo di punta di Confindustria, prova a guardare oltre l’immediato e a lanciare una proposta che supera anche le iniziative dei governi.

Alla fine i dazi sono arrivati e sono anche pesanti. Lei, però, già da anni li ha sperimentati per il settore dell’acciaio: con quali esiti?
“Sì, dalla fine del 2018 la prima amministrazione Trump aveva messo dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio. Biden li ha mantenuti con qualche deroga. Gli effetti? Basta qualche numero per spiegarli: nel 2018 esportavamo 900.000 tonnellate l’anno di acciaio negli Stati Uniti. Nel 2024, a dazi vigenti, abbiamo esportato poco meno di un terzo, 290.000 tonnellate”.
Come avete reagito?
“Abbiamo cercato naturalmente nuovi mercati, abbiamo aumentato le vendite in Europa, in alcuni Paesi extraeuropei come Canada, Emirati, Arabia Saudita, l’Africa”.
Possiamo immaginare quale possa essere l’impatto con tariffe così estese come quelle previste. Che fare?
“La premessa è che per un Paese, come il nostro, che è il quarto esportatore del mondo, le guerre commerciali sono il peggio che ci può essere. E quindi bisogna evitare che questa uscita di Trump si trasformi in una guerra commerciale globale. Con tutte le distorsioni che possono comportare”.
A quali si riferisce?
“Voglio dire che quello che non viene più esportato negli Stati Uniti da Paesi come la Cina, come il Vietnam, in particolare Paesi del Sud-Est asiatico, rischia di arrivare tutto in Europa. Allora, il vero tema sul quale dovremmo concentrarci, soprattutto come italiani, è spiegare agli americani che non dobbiamo fare come i polli di Renzo che si beccano mentre vanno a finire in pentola. E la pentola è la Cina”.
Vuol dire che abbiamo interessi in comune con gli Stati Uniti, come Europa e come Italia, per evitare di fare un grande favore alla Cina?
“Certo. E siccome l’intento di Trump è di utilizzare i dazi per ridare una presenza, una forza all’industria americana che non ha più, occorre fargli capire che non ce la faranno da soli, perché l’Europa, l’Italia esportano molti componenti destinati ad entrare in prodotti che fanno in America e senza questi componenti l’industria americana si troverà in difficoltà. In altri termini, non è che la reindustrializzazione si fa con un colpo di bacchetta magica. La deindustrializzazione che Trump combatte ha lasciato il segno: a cominciare dalla mancanza di professionalità”. Quale dovrebbe essere, dunque, la reazione della Von der Leyen a nome dell’Europa?
“Mi sembra che von der Leyen sia stata abbastanza prudente. Ha detto se c’è da rispondere, risponderemo e nel frattempo cerchiamo di negoziare”.
Come farlo capire al presidente Usa?
“Gli industriali americani sono preoccupati perché conoscono i loro processi produttivi e sanno che cosa comprano e che cosa mancherà. Allora, ad esempio, perché non lanciare una grande iniziativa italiana di verifica e di confronto per fare accordi separati (che dal punto di vista dei dazi non è giusto fare, perché è l’Europa che deve trattare) a livello industriale. Lo spessore e la specificità dell’industria italiana non hanno bisogno di passare per von der Leyen per cercare di trovare forme di collaborazione con l’industria americana”.