
Le cosiddette barriere non tariffarie, o barriere tecniche, non sono tasse in senso stretto, ma producono lo stesso effetto: rappresentano...
Le cosiddette barriere non tariffarie, o barriere tecniche, non sono tasse in senso stretto, ma producono lo stesso effetto: rappresentano una forma molto diffusa e sottile di dazio indiretto, poiché servono a rendere più difficile o costosa l’importazione di beni stranieri. In particolare, gli Stati Uniti usano questa forma di dazio indiretto nel settore agroalimentare — ad esempio per formaggi o salumi — imponendo norme su etichettatura alimentare, tracciabilità e divieti su determinati ingredienti, che costringono molti prodotti italiani ad adattamenti onerosi per poter essere commercializzati. Un esempio è il Parmigiano Reggiano, soggetto peraltro a un aumento dei dazi dal 15% al 35%. Il prezzo potenziale di export (prima delle barriere) è pari a 18 euro al kg. Dopo i costi legati alla Fda, al packaging e alle certificazioni, il prezzo aumenta di 2-3 euro al kg, arrivando sul mercato statunitense a 20–21 euro al kg. Lo stesso settore è soggetto a norme sanitarie rigide e a controlli su etichette e additivi alimentari anche da parte della Cina, creando ostacoli all’export di prodotti come vino, olio d’oliva e pasta, a causa di regolamenti complessi e controlli doganali prolungati.