Mercoledì 24 Aprile 2024

Da Alitalia all’acciaio, lo Stato si prende tutto

Invitalia potrà arrivare fino al 60% della fabbrica tarantina. L’ennesimo fallimento dell’opzione privata

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di Elena Comelli

Si ritorna all’acciaio di Stato con l’accordo tra Invitalia e Arcelor Mittal, che segna l’ingresso della società controllata dal Mef nell’ex Ilva di Taranto. L’intesa prevede due aumenti di capitale per AmInvest, la società di gestione dell’ex Ilva, il primo da 400 milioni di euro, che darà a Invitalia il 50% dei diritti di voto e il secondo a maggio 2022, che sarà sottoscritto fino a 680 milioni da parte di Invitalia e fino a 70 milioni di parte di Arcelor Mittal. Al termine dell’operazione Invitalia sarà azionista di maggioranza col 60% del capitale, Arcelor Mittal avrà il 40%.

Dopo la nazionalizzazione di Alitalia e di Autostrade, questa operazione segna anche per l’ex Ilva di Taranto il fallimento dell’opzione privata, sia nazionale che internazionale. L’accordo, che prevede il completo assorbimento dei 10.700 lavoratori impegnati nello stabilimento, ha l’obiettivo di trasformare l’ex Ilva di Taranto nel più grande impianto di produzione di acciaio green in Europa, con l’attivazione di un forno elettrico in grado di produrre 2,5 milioni di tonnellate di acciaio l’anno.

"A Taranto realizzeremo il progetto più avanzato di transizione energetica: ovviamente non lo si fa dall’oggi al domani, ma l’accordo prevede che in una parte dello stabilimento si abbandoneranno le fonti fossili", ha spiegato il premier Giuseppe Conte in conferenza stampa a Bruxelles. E a chi gli chiedeva conto di questa nuova nazionalizzazione: "Non ci stiamo prendendo gusto con l’intervento dello Stato", ma di fronte a una "recessione così pesante, tutti i Paesi sono costretti anche a programmare degli investimenti e quindi anche a usare la mano pubblica, soprattutto in alcuni asset strategici".

In Puglia, però, le critiche sono unanimi. Sia il presidente della Regione Michele Emiliano, sia il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci sono convinti che l’accordo non tuteli la salute della popolazione. Dopo aver speso "miliardi per tenere in piedi un catorcio inquinante", ora si spendono "altri soldi pubblici per riqualificare una tecnologia del ‘900", ha commentato Melucci.

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