Cuneo fiscale: il taglio dei contributi fa salire l'Irpef. La spiegazione e gli esempi

La riduzione dell’aliquota del 2 e del 3% previsto in legge di Bilancio determina un aumento della base imponibile e delle ritenute fiscali

Roma, 27 dicembre 2022 - La manovra ha confermato e rafforzato il taglio dei contributi introdotto dal governo Draghi. L’obiettivo è quello di ridurre il cuneo fiscale, ovvero la differenza tra il lordo pagato dall’azienda e il netto che finisce nella busta paga del lavoratore. Introdotta prima nella misura dello 0,8% e poi ampliata di un altro 1,2%, la decontribuzione per i lavori dipendenti ci sarà anche nel 2023. La novità introdotta dalla legge di bilancio è rappresentata dalla previsione di due fasce di reddito a cui corrispondono due aliquote diverse. Il taglio del 2% rimarrà per le retribuzioni mensili comprese tra i 1.923 euro e i 2.692 euro. Sotto la soglia dei 1.923 euro, invece, la percentuale sale al 3%. Lo stipendio mensile può venire aumentato a dicembre dalla tredicesima, o dalla sua quota mensile (rateo) qualora sia pagata ogni mese. Se si moltiplicano quindi i valori della retribuzione mensile per 13, si arriva alle somme annue di 25mila e 35mila euro.

Dichiarazione dei redditi (foto Ravaglia)
Dichiarazione dei redditi (foto Ravaglia)

Attenzione, però: la base di calcolo non è l’imponibile fiscale ma quello previdenziale mensile. Si guarda quindi al singolo mese e non all’anno intero. Di conseguenza, non è possibile recuperare l’agevolazione a conguaglio nel caso in cui si sfori una delle due soglie (1.923 e 2.692). Ed è proprio la scelta di riferirsi alla retribuzione alla retribuzione imponibile previdenziale che rende la misura meno incisiva. Infatti, il taglio dei contributi, come spiega il Sole 24 Ore, abbassa anche gli oneri deducibili dallo stipendio lordo e quindi aumenta l’imponibile fiscale. In altre parole, la base di calcolo per l’Irpef risulta più alta perché viene incrementata dai minori contributi deducibili dal lordo. La conseguenza è che si pagherà un Irpef maggiore. Vediamo qualche esempio.

Per un dipendente con una retribuzione imponibile previdenziale pari a 2.335 euro, la decontribuzione del 2% vale 46,70 euro. Eppure, lo stesso lavoratore si ritrova con un netto in busta paga aumentato di soli 30,31 euro. Stesso discorso per quanto riguarda l’aliquota del 3%, prevista per chi guadagna meno di 1.923 euro. Anche in questo caso (stipendio 1.857 euro) il valore del taglio dei contributi si discosta dal beneficio netto: 55,71 euro a fronte di 36,15 euro. Il vantaggio di passare da uno sconto del 2%, come previsto nel 2022, a uno del 3% sui contributi per questo dipendente vale 18,57 euro al mese in più. In termini percentuali, nel primo esempio, relativo a chi supera la soglia dei 1.923 euro, il taglio del 2% si riduce all’1,70% netto, mentre nell’altro il 3% diventa 2,43%. Insomma, il taglio del cuneo fiscale è meno generoso di quanto sembri a prima vista. Per questo, nel caso in cui si volesse intervenire ulteriormente sulla differenza tra retribuzioni lorde e nette, si dovrebbe usare una metodologia diversa.