Mercoledì 24 Aprile 2024

Crisi: a rischio 30mila imprese del commercio, in pericolo 130mila posti di lavoro

Secondo la Fipe, l'ultima parte dell'anno sarà drammatica per i pubblici esercizi

È un conto alla rovescia che è già partito: nei prossimi due mesi 30mila tra negozi, ristoranti e bar potrebbero chiudere. A rischio ci sono 130mila posti di lavoro. Tra bollette fuori controllo, un’inflazione che ha sfondato la doppia cifra e il clima di fiducia che continua a deteriorarsi, per i pubblici esercizi l’ultima parte dell’anno si preannuncia durissima. A delineare il quadro drammatico è Fipe-Confcommercio, che ha presentato il rapporto in occasione della sua assemblea annuale. Dopo la forte ripresa estiva, durante la quale i ricavi sono cresciuti del 68% rispetto allo stesso periodo del 2021, le stime indicano un anno che si chiuderà con un fatturato di 77,3 miliardi di euro, 7 in meno del periodo precedente il Covid.

I numeri della crisi

Dall’inizio dell’anno il settore è infatti in sofferenza con 11mila cessazioni di attività, quasi il 25% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. A essere più colpiti sono i servizi di catering che registrano un 30% di chiusure in più, in un’emorragia che non accenna ad arrestarsi: nel biennio 2020-2021 sono uscite dal mercato 45mila imprese. "È un momento di grande difficoltà” ha dichiarato il presidente di Fipe, l’associazione di categoria degli esercenti, Lino Enrico Stoppani. "Avremmo forse dovuto parlare di una crisi permanente: instabilità e sicurezza sono il tratto dominante del contesto. il turismo è stato un toccasana per l'economia del Paese, ma la guerra con la conseguente crisi energetica e l'inflazione sempre più alta impone di affrontare la situazione con scelte immediate e forti da parte della politica e delle istituzioni”.

Il caro bollette

L’emergenza principale è, in ogni caso, il caro bollette. Per risolverla, Stoppani ritiene indispensabile lo strumento dei crediti di imposta e la rateizzazione delle bollette: l’unico modo per allentare la tensione sui conti di bar, ristoranti e pizzerie. I costi per l’energia infatti sono esplosi. In media un bar spende tra luce e gas 16mila euro contro i 5.500 del 2020 mentre un ristorante 34mila euro (prima erano 11mila). C’è poi il capitolo lavoro. Da un lato, sale la preoccupazione per le migliaia di lavoratori che rischiano di rimanere a casa in seguito alle cessazioni previste entro la fine dell’anno. Dall’altro, invece, pesa il problema del mismatch tra domanda e offerta: la difficoltà, in alcuni casi insormontabile, di trovare personale preparato e già formato.

Sos ristorazione

Durante il periodo dei lockdown a singhiozzo, dal febbraio 2020 a inizio del 2022, il settore ha perso 243mila lavoratori di cui circa 116mila a tempo indeterminato. Il segmento più penalizzato è stato comunque quello degli under 40, che ha visto una riduzione massiccia dell’occupazione. Insomma, i dati sono drammatici. Ma a rendere possibile questa emergenza è stato anche il fatto che il comparto gode di pochi ammortizzatori sociali. Secondo l’indagine Excelsior Unioncamere, nell’ultimo trimestre del 2022 le imprese cercheranno quasi 139mila addetti. I più ricercati sono i camerieri di sala, i baristi e i cuochi. Sebbene a tutti venga richiesta esperienza, spesso gli esercenti si scontrano con poche candidature e con personale che non sempre è all’altezza.

Dalla politica ai processi

Per questo, ha sottolineato Stoppani, "sono necessarie politiche attive in grado di riqualificare, innovare e investire sulle competenze - vecchie e nuove - e corsi di orientamento per i giovani verso percorsi formativi e scolastici in grado di dare prospettive occupazionali, contrastando anche il dumping contrattuale che interessa il settore. Senza dimenticare il riordino delle norme che regolano il mercato, per dare corpo al principio ‘stesso mercato, stesse regole’”. Gli esercenti per migliorare le performance dovranno anche lavorare sui processi, la logistica, orari e tempi di servizio, l’organizzazione e la gestione del personale. “Nessuno, se non noi stessi, possiamo risolvere il problema della bassa marginalità, che a sua volta nasce dalla difficoltà di associare il prezzo al valore dell'offerta impedendo di trasferire correttamente sui listini le dinamiche dei costi e le legittime aspettative di profitto”.