Sabato 21 Giugno 2025
CLAUDIA MARIN
Economia

Cuzzilla (Cida): "Ceto medio trascurato e spremuto, servono meno tasse sul lavoro e più equità nel welfare"

Il presidente dell’associazione: “Il grande paradosso di questa fascia della popolazione: troppo ricco per il fisco, troppo povero per il futuro. Il merito non viene premiato e il patto sociale si rompe”

Cuzzilla (Cida): "Ceto medio trascurato e spremuto, servono meno tasse sul lavoro e più equità nel welfare"

Roma, 22 maggio 2025 - “O il Paese ricostruisce una prospettiva per chi lavora e tiene insieme le comunità, oppure si incrina il patto di fiducia tra istituzioni e cittadini”. E’ questo l’avviso che arriva da Stefano Cuzzilla, confermato di recente alla guida della Cida (che associa manager e alte professionalità) sui risultati e le tendenze che emergono dal Rapporto Cida-Censis sul ceto medio. Presidente Cuzzilla, perché questo secondo rapporto sul ceto medio? ”Perché è il punto su cui si regge – o si rompe – il sistema Italia. Un anno fa abbiamo acceso un faro, oggi ci assumiamo la responsabilità di proporre soluzioni. Il ceto medio è la fascia che lavora, guida, investe, educa. Ma è anche la più trascurata, fiscalmente spremuta, esclusa dal welfare, ignorata nei riconoscimenti. E questo genera una frattura sociale silenziosa, ma profonda”.

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Qual è la fotografia che emerge dal rapporto? “È la fotografia di una resistenza sotto pressione. Il 66% degli italiani si identifica nel ceto medio, ma più della metà teme che i figli vivranno peggio. L’82% non si sente riconosciuto nel proprio valore e il 70% chiede una riduzione delle tasse sui redditi lordi. È il grande paradosso del ceto medio: troppo ricco per il fisco, troppo povero per il futuro. Non abbastanza vulnerabile per ricevere aiuti, ma sempre più in difficoltà nel progettare la propria vita. E questo blocca la fiducia e svuota la speranza”. Un disagio che riguarda anche il merito e la cultura… “Certo. Il nostro è un ceto medio con forte capitale culturale. Si definisce per sapere e competenze più che per reddito. Ma questo investimento personale, oggi, non ha ritorni. Il merito non viene premiato, e il risultato è che ciò che per decenni era una spinta verso l’alto ora si traduce in semplice galleggiamento. È qui che si rompe il patto sociale.” Lei ha parlato di frattura fiscale. Perché? “Perché oggi lavorare di più non conviene. Chi aumenta il reddito perde benefici. Un dirigente italiano paga il 43% di tasse con 60mila euro lordi. In altri Paesi, aliquote simili si applicano solo a redditi ben superiori. È un sistema che punisce chi crea valore. Serve una riforma fiscale coraggiosa, che premi il lavoro e scoraggi l’elusione. Non possiamo accettare che chi investe in previdenza, formazione e sanità integrativa venga penalizzato da tetti e limiti scollegati dalla realtà. E il welfare? È un altro fronte critico… “Decisamente. Solo il 18% giudica sufficiente il welfare pubblico. E allora cresce il ricorso a fondi e polizze integrative, ma non tutti possono permetterselo. Il rischio è che si allarghi il divario tra protetti e non protetti. Noi proponiamo un sistema integrato, pubblico e contrattuale, più flessibile e inclusivo. Anche il ruolo della contrattazione collettiva deve essere rafforzato.” Che cosa vi dicono le famiglie con figli? “Che non si arrendono, ma sono stanche. Il 67% sostiene spese straordinarie per i figli. Ma oltre la metà auspica per loro un futuro all’estero. È un dato durissimo. Stiamo perdendo capitale umano… e speranza. Il ceto medio continua a investire nel Paese, ma il Paese deve ricominciare a investire su di lui”. Anche nel discorso alla Camera ha insistito sul tema dei tetti agli stipendi nella PA… “Sì, perché è un tema strategico. Le soglie rigide, pensate per limitare gli eccessi, oggi rischiano di penalizzare settori chiave: magistratura, sanità, pubblica amministrazione, università e aziende pubbliche. Se le migliori professionalità se ne vanno, a perdere è il sistema Paese. Serve una riflessione seria su competenze, responsabilità e attrattività.” In conclusione, qual è la proposta politica di Cida? “Difendere il ceto medio non è una battaglia corporativa. È un investimento nella stabilità democratica ed economica. Chiediamo meno tasse sul lavoro, più equità nel welfare, una valorizzazione vera del merito. La dirigenza italiana non vuole privilegi, ma giustizia fiscale, visione strategica e responsabilità condivisa. E siamo pronti a fare la nostra parte.”