Venerdì 18 Aprile 2025
ANTONIO PETRUCCI
Economia

Cresce lo smart working, sono 3,75 milioni gli italiani in lavoro agile

Il 29% delle aziende pratica quello internazionale per attrarre nuovi talenti. Più attuato nelle grandi imprese che nelle piccole

Una donna impegnata in attività di smart working, foto generica

Una donna impegnata in attività di smart working, foto generica

Roma, 1 aprile 2025 – E’ sempre più diffuso, specie nelle grandi imprese, e sono sempre di più le aziende che praticano anche quello internazionale: si tratta dello smart working, che stando agli addetti ai lavori riguarda ormai 3,75 milioni di lavoratori. Nel 2024 aveva riguardato 3,55 milioni di persone, in leggero calo dello 0,8% rispetto all’anno precedente. Sono soprattutto le grandi imprese con 1,91 milioni di dipendenti complessivi, a far svolgere il lavoro da casa, con una crescita dell’1,6% rispetto al 2023.

I dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano

Dunque lo smart working non è affatto finito, anzi. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, per il 2025 si prevede una crescita del 5%, che porterebbe a toccare il numero di 3,75 milioni di dipendenti coinvolti in questa pratica. A far evolvere le iniziative, in termini di persone coinvolte o di policy, saranno soprattutto le grandi imprese (35%) seguite dalle pubbliche amministrazioni (23%) e dalle piccole e medie imprese (9%).

Il 35% delle grandi imprese e il 43% delle pubbliche amministrazioni prevede un incremento dei lavoratori coinvolti nel prossimo anno, mentre nelle piccole e medie imprese la direzione è opposta, con solo l’8% che ipotizza un aumento. Gli smart worker italiani possono lavorare da remoto in media 9 giorni al mese nelle grandi imprese, 7 nella Pa e 6,6 nelle Pmi.

Il 73% dei lavoratori che se ne avvalgono si opporrebbe se la propria azienda eliminasse questa forma di flessibilità. Nello specifico, il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro, il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Sempre secondo i lavoratori, per cercare di compensare almeno in parte la mancata possibilità di lavorare da remoto, l’azienda dovrebbe offrire una maggiore flessibilità oraria o aumentare lo stipendio di almeno il 20%. Tra chi è tornato in totale presenza dopo aver lavorato da remoto, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, perché non ha più la necessità di lavorare da remoto o semplicemente preferisce socializzare con i colleghi in presenza, il 23% ha una nuova mansione non praticabile da remoto, mentre per la grande maggioranza (58%) è stata una decisione presa dall’azienda.

I motivi

“Negli ultimi mesi, a causa dell’eliminazione degli ultimi obblighi normativi sullo smart working e della scelta di alcune grandi multinazionali di far tornare i propri lavoratori totalmente in presenza, si è decretata prematuramente la fine dello smart working – spiega Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio. In realtà i numeri fotografano un’altra realtà, con i lavoratori da remoto sostanzialmente stabili rispetto allo scorso anno. Il lavoro agile cresce nelle grandi aziende e cala nelle Pmi. Nelle piccole realtà la fine dell’obbligo dello smart working per i lavoratori fragili ha riportato in ufficio molti lavoratori, probabilmente perché questo modello organizzativo è ancora visto, prevalentemente, come uno strumento occasionale di conciliazione tra vita privata e lavorativa e non come una vera e propria innovazione nell’organizzazione del lavoro”.

Il fenomeno dell’international smart working

Un fenomeno emergente è l’international smart working, presente soprattutto nelle grandi imprese, in cui è praticato già dal 29% delle realtà, mentre è ancora contenuta la diffusione nelle Pmi (4%). Le iniziative riguardano spesso un numero limitato di individui, ma rappresentano lo strumento con cui le organizzazioni possono accedere ad un più ampio bacino di talenti a livello geografico e mantenere il rapporto di lavoro con chi manifesta la necessità di spostarsi a vivere all’estero. Attrarre specifici profili e trattenere talenti sono le principali motivazioni per attivare iniziative di international smart working. A limitarne la diffusione, la difficile gestione fiscale e previdenziale per metà delle organizzazioni che hanno progetti attivi. Una volta avviata l’iniziativa, il principale rischio percepito dalle aziende è la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement (per il 57% delle grandi imprese), mentre per il 46% delle Pmi la preoccupazione è soprattutto la gestione in sicurezza dei dati.