Giovedì 25 Aprile 2024

Energia: quanto e perché l'Italia spenderà di più nel 2022 rispetto a Francia e Germania

Secondo Confindustria, i costi del gas rischiano di far perdere competitività alle imprese italiane. E la colpa del divario non è solo della guerra

Energia, un gasdotto (Archivio)

Energia, un gasdotto (Archivio)

Mentre la Russia taglia le forniture di gas all’Europa, l’Italia si trova a fare i conti con l’aumento dei costi dell’energia. A essere coinvolte non sono sono le famiglie ma anche, e soprattutto, le imprese, che rischiano di perdere competitività nei confronti dei propri concorrenti internazionali. Il centro studi di Confindustria, infatti, stima che l’incidenza dell’energia sui costi di produzione per l’intera economia italiana possa raggiungere l’8,8% quest’anno, più del doppio rispetto alla Francia (3,9%) e quasi un terzo in più della Germania (6,8%). “Si amplierebbe così il divario di competitività di costo dell’Italia dai principali partner europei” per tutti i settori: agricoltura, industria e servizi.

Se i prezzi dell’energia non dovessero scendere da qui ai prossimi mesi, la bolletta energetica pagata dal nostro Paese potrebbe crescere tra i 5,7 e i 6,8 miliardi al mese, traducendosi in un maggior onere compreso tra i 68 e gli 81 miliardi di euro in un anno. A subire i rincari sarebbe in particolare la manifattura, che vedrebbe aumentare i costi energetici per un valore che oscilla tra i 27,3 e i 31,8 miliardi di euro (2,3-2,6 miliardi al mese). In Germania, con un’economia che è circa il doppio della nostra, i rincari oscillano tra i 91,9 e i 95,7 miliardi di euro all’anno (46 circa per l’industria), mentre per la Francia tra i 20,2 e i 21,8 miliardi. Ma a cosa sono dovute differenze così marcate tra i tre maggiori Paesi europei? Essenzialmente al diverso mix energetico. Nonostante gli ampollosi proclami alla transizione green, la Germania continua a produrre il 44% dell’energia elettrica con il carbone contro il 7% dell’Italia (le fonti rinnovabile stanno al 23% e al 37%, rispettivamente). La Francia, invece, può contare sul nucleare che rappresenta l’83% della produzione di energia. Insomma, tutto, o quasi, dipende dal metano, il cui prezzo già a gennaio, prima dello scoppio della guerra in Ucraina, era cresciuto del 421% rispetto al dicembre 2019. E siccome l’Italia ne fa ampio uso, è inevitabile che sia anche il Paese che ha subito maggiormente i rincari.

Il gas naturale, infatti, è la fonte prevalente sia per la produzione di elettricità (49% nel 2019 contro il 15% della Germania) sia per la manifattura (76%). Certo, il dato relativo all’industria non è molto distante da quello francese (67%) e tedesco (68%), ma è comunque superiore. Anche perché il carbone, molto più economico, destinato ai bisogni della manifattura tedesca rappresenta l’11% dei consumi contro il 4% italiano. “Ciò implica” prosegue lo studio di Confindustria, “che variazioni dei prezzi del gas “fuori scala”, come quelle che stiamo osservando in questi mesi” hanno “un impatto proporzionalmente maggiore nel caso delle filiere industriali italiane rispetto a quelle tedesche e francesi”. Senza contare il fatto che, negli ultimi anni, le nostre imprese hanno preferito acquistare il gas sul mercato a pronti, esponendosi alle turbolenze delle quotazioni. I contratti di lunga durata con i quali si rifornivano in precedenza, infatti, non sono stati rinnovati. Ma la diversa dieta energetica seguita dai tre maggiori Paesi europei ha frenato la competitività dell’industria italiana anche prima dell’esplosione dei prezzi delle materie prime e dell’energia, iniziata a novembre dell’anno scorso, e della guerra in Ucraina. Certo, adesso il divario con i partner europei è molto più accentato, ma il costo dell’energia è sempre stato un fardello per le imprese del nostro Paese. Nel biennio 2018-2019, la differenza rispetto alla Germania era dello 0,6% mentre dell’1,6% nei confronti della Francia.

Tuttavia, già nel 2021 la distanza era cresciuta, toccando l’1% e il 2,6%, rispettivamente. Quest’anno, stima Confindustria, si arriverà a un maggiore costo del 2,1% sulla Germania e al 4,9% sulla Francia. Se si guarda solo alla manifattura, però, la perdita di competitività si avrà soprattutto nei confronti delle imprese francesi. “Al 2022 si stima che l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare a rappresentare l’8,0% dei costi di produzione per l’industria italiana (dal 4,0% nel periodo pre-pandemico), a fronte del 7,2% per l’industria tedesca (dal 4,0%) e del 4,8% di quella francese (dal 3,9%)”. Concentrandosi sul confronto con la Germania, il quadro è più variegato. Se tra gli energivori, la corsa dei prezzi ha un impatto più pesante per la manifattura italiana soprattutto nel settore del legno (incidenza dei costi +6,3% rispetto al pre-pandemia, contro un +2,3% tedesco), della gomma-plastica (+5,6%, +3,2%) e della chimica (+4,5%, +3.6%), nella metallurgia l’industria tedesca risulta più colpita (+14,4% contro il +12,4% italiano).