Corre il risparmio gestito, il futuro è sostenibile

Sette mesi in positivo per il mercato italiano

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di Andrea Telara

Sette mesi consecutivi in positivo. È abbastanza lusinghiero il bilancio per il mercato italiano del risparmio gestito nel periodo compreso tra aprile e fine ottobre 2020. Dopo lo sbandamento di marzo seguito alla crisi delle Borse provocata dalla pandemia del Coronavirus, l’asset management made in Italy ha continuato a raccogliere una quantità notevole di risparmi tra le famiglie italiane: 17,3 miliardi nei primi 10 mesi dell’anno e 2,9 miliardi soltanto a ottobre, contro il miliardo dello stesso periodo del 2019.

Il patrimonio gestito in questo settore si è attestato invece a 2.334 miliardi. A rivelarlo sono le statistiche più aggiornate dell’associazione di categoria Assogestioni. Il leader di mercato, secondo la mappa tracciata da Assogestioni, resta ancora il gruppo Generali, con un patrimonio in gestione di quasi 540 miliardi. Segue Intesa Sanpaolo con oltre 490 miliardi, in notevole crescita dopo che sono entrati nel perimetro del gruppo anche i risparmi dei clienti della neo-acquisita Ubi Banca. Terzo posto per la francese Amundi (leader dell’asset management in Europa), con un patrimonio di quasi 193 miliardi in Italia, seguito da Anima (188 miliardi) e dal gruppo Poste Italiane (con oltre 107 miliardi).

Prima tra le case di gestione straniere presenti sul mercato italiano è invece il colosso statunitense BlackRock, leader mondiale dell’asset management che a sud delle Alpi gestisce oltre 83 miliardi di euro e precede la tedesca Allianz (51 miliardi di euro), la francese Axa IM (46 miliardi) e la connazionale Morgan Stanley (oltre 45 miliardi di euro).

A mantenere alto l’interesse dei risparmiatori verso i prodotti del risparmio gestito, in primis i fondi comuni d’investimento, è ancora il mix di fattori messo in evidenza più volte da non pochi osservatori: i tassi d’interesse sono bassi (se non addirittura sotto zero) ed è difficile per chiunque ottenere rendimenti corposi con altri prodotti finanziari, dai conti di deposito ai titoli di stato fino alle obbligazioni. Fino a che permangono tali condizioni, insomma, per diversi analisti è probabile che i nostri connazionali restino ben disposti verso i fondi d’investimento, a meno che un nuovo scivolone delle Borse non giunga temporaneamente a frenare la crescita. Con questo scenario di fondo, molti gruppi bancari si tengono dunque ben strette le loro società di gestione del risparmio (sgr) che, attraverso la vendita dei loro fondi allo sportello, rappresentano una gallina dalle uova d’oro capace di compensare la perdita di ricavi su altri fronti.

Non tutti gli analisti, però, sono concordi nel delineare questo scenario, almeno a livello internazionale. È il caso della nota agenzia internazionale Moody’s, che proprio di recente ha pubblicato il suo consueto report previsionale (Outlook 2021) sulll’asset management. L’outlook di Moody’s sulle società del settore è al momento negativo per una serie di ragioni. Nel breve periodo, la crisi economica generata dalla pandemia del Covid-19 non è destinata a mollare la presa rendendo i mercati finanziari ancora volatili. E quando le borse sono ballerine, si sa, non è facile convincere i risparmiatori a puntare sui fondi d’investimento. Inoltre, in un’ottica di medio e lungo termine, secondo Moody’s le società dell’asset management subiranno inevitabilmente un’erosione dei margini di profitto, a causa della crescente presenza sul mercato di prodotti low cost, cioè soggetti a basse commissioni come per esempio gli Etf (exchange traded fund), i fondi che seguono passivamente le performance di riferimento, senza la presenza di un gestore che costruisce il portafoglio e seleziona i titoli sul mercato. In questo scenario di utili sotto pressione, per gli analisti continuerà probabilmente il processo di consolidamento del mercato, cioè di aggregazione tra le varie case d’investimento.

L’industria mondiale del risparmio gestito, infatti, resta ancora frammentata, anche se ormai si muove con dinamiche simili in tutti e 5 i continenti. I primi 10 player globali hanno attualmente una quota di mercato del 35% e in futuro potrebbero essere spinti a espandere il proprio raggio di azione tramite fusioni e acquisizioni, per realizzare economie di scala e risparmi di costi, compensando così la flessione dei profitti e dei ricavi. La previsione di Moody’s è che comunque alcuni segmenti di prodotti incontreranno invece un crescente interesse. Tra questi ci sono sicuramente i fondi Esg (environmental, social and governance), cioè che investono in titoli di aziende rispettose della sostenibilità ambientale, della responsabilità sociale, della trasparenza nella gestione manageriale oltre che dei diritti degli azionisti.

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