Coronavirus fase 2, 100mila aziende già aperte in deroga. Metà degli italiani al lavoro

L'Istat: nonostante il lockdown il 55% dei lavoratori raggiunge ogni giorno il proprio posto

lavoro in azienda

lavoro in azienda

Milano, 15 aorile 2020 - Alla Luxottica hanno riaperto ieri. Negli stabilimenti italiani sono rientrati circa tremila dipendenti, il 30 % della forza lavoro. Una riapertura graduale, un test sulla sicurezza in attesa di tornare alla operatività piena senza mettere a rischio la salute dei lavoratori. Nessun si stupisca. Luxottica non è sola. Ieri l’Istat ha certificato che a fine marzo – dopo la chiusura delle attività decretata dal governo – più della metà degli italiani, il 55%, continuava ad andare al lavoro. In Basilicata, Sicilia e Calabria la percentuale è persino maggiore. A Genova, Bologna Roma, Ancona, Milano oltre il 60% delle attività risulta aperto. «Senza considerare lo smart working», precisa l’Istat.

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D’altronde lo si vede affacciandosi alla finestra. Strade più trafficate delle prime settimane di lockdown. Auto, furgoni, camion. Sulle prefetture sono piovute centodiecimila domande di deroga: aziende che, pur rientrando nei settori da chiudere per l’emergenza, sono tornate a operare perché inserite in filiere essenziali, impegnate a garantire produzioni per i comparti che non possono fermarsi. Più della metà di queste aziende (60mila) si trovano in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Altre 11mila in Toscana e duemila nelle Marche. 

Nei prossimi giorni il governo farà il punto della situazione, perché il sistema delle deroghe affidate ai prefetti (con il silenzio assenso) non ha ancora permesso di avere un quadro chiaro. A complicare il tutto bisogna considerare che oltre alle imprese in deroga sono ripartite aziende che rientravano in settori essenziali, ma che erano state bloccate per prudenza, spinte sindacali, incertezza sulle regole. Si diceva di Luxottica. Ma un altro colosso dell’occhialeria ha riacceso come può i motori. Il gruppo Marcolin, sempre di Belluno. "Abbiamo deciso di riaprire lunedì 30 marzo parte della nostra logistica e del controllo qualità finito lasciando ad ogni dipendente la scelta di presentarsi al lavoro – spiega un portavoce dell’azienda –. La risposta è stata positiva".  Chi non ha riaperto già morde il freno, perché lo stop sta affondando interi settori industriali. È il caso dei mobili di design. I maggiori brand italiani (B&B, Bisazza, Boffi, Cappellini, Cassina, Flexform, Giorgetti, Molteni e Poltrona Frau) hanno scritto un appello per ripartire. L’obiettivo è tornare a produrre il 20 aprile, spiegano i proprietari. "Siamo prontissimi – dice Matteo Galimberti, amministratore di Flexform, 160 dipendenti a Meda, in Brianza – . Abbiamo organizzato lo stabilimento garantendo distanziamenti per i dipendenti, spostato le timbrature per evitare assembramenti all’ingresso. Ci siamo dotati di mascherine, camici, guanti. Avremmo potuto partire già da ieri".

Protocolli ufficiali non ce ne sono, si tratta di procedere raccogliendo informazioni. "Noi abbiamo valorizzato i medici aziendali, l’organizzazione dei rischi e le informazioni ai dipendenti anche con le chat sui cellulari", racconta il portavoce di Barilla, l’azienda di Parma che non ha mai chiuso. La differenza vitale è tra la riapertura selvaggia, senza criteri, e la ripartenza sicura. Non ci sono mediazioni. Non si rischia. Pirelli, ad esempio, non ha ancora riaperto anche se una sua task force sta lavorando da tempo su come fare, perché "quando le disposizioni lo consentiranno valuteremo il graduale riavvio dei due siti italiani a Settimo Torinese e a Bollate".

Pirelli adeguerà i livelli produttivi "alla domanda e la presenza nelle fabbriche", ma solo con "elevati standard di sicurezza dei lavoratori". Intanto ha parzialmente riavviato le attività in Russia, in Messico e in Turchia ed è in ripartenza anche la Romania. In Cina due delle tre fabbriche chiuse all’inizio dell’anno stanno tornando alla normalità. Segnale che può esserci ancora vita se si batte il Coronavirus.