Consumi interni Serve una spinta o ci incagliamo

Bruno

Villois

Il +2,7% del Pil nel secondo trimestre rispetto al primo ha alimentato l’ottimismo per la ripresa dell’Italia. E’ bene, però, essere cauti, visto che gli eccellenti risultati derivano per oltre i due terzi dall’export, mentre i consumi interni, abbigliamento in testa, arrancano, a differenza del risparmio depositato in banca. A sostenere la scelta di accantonare è l’incertezza per il futuro, sul quale incombe il rischio di una quarta ondata pandemica. Incidono anche l’accelerazione della fase tecnologica e le sue conseguenze sul lavoro, che da noi è composto essenzialmente da non specializzati, e il tema della conversione ecologica, che potrebbe penalizzare eccessivamente alcuni settori manifatturieri, come quello dell’auto, ritenuto ben oltre i suoi demeriti all’origine del disastro ambientale ormai incombente. L’insieme di queste componenti sta determinando incertezza, che crea l’effetto formica. Non è un caso che il consumo del lusso e quindi della ricchezza in ogni dove nel globo resti a livelli eccezionali. Lo confermano i risultati del secondo trimestre delle società francesi della moda, mentre i livelli dei consumi delle fasce medie sono rimasti al palo. Importante, almeno per quel che ci riguarda, sarà la capacità del governo di incentivare i risparmiatori a convertire almeno una parte dei soldi in consumi interni, in modo da stimolare le produzioni nazionali ed evitare un tracollo di molti settori merceologi del commercio, già profondamente segnati dagli effetti delle chiusure. Per stimolare la spesa servirebbe un’accelerazione della capacità di guadagno del ceto medio, corrosa dai bassi salari. Una riforma fiscale che riduca le tasse, sarebbe un toccasana.

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