Commercio e giochi online: i ricchi del Covid

Il virus ha messo in ginocchio l’economia reale. Ma alcuni settori hanno fatto soldi: piattaforme di consegne e intrattenimento sul web

Jeff Bezos, 57 anni, patron di Amazon, ha un patrimonio di 187,5 miliardi di dollari

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Fare affari con il Covid. E non solo con le classiche mascherine o i gel disinfettanti i cui prezzi, con il primo lockdown, erano andati alle stelle. Perché se l’anno della pandemia ha messo in ginocchio settori come il turismo, la ristorazione, il tempo libero e lo sport, il trasporto aereo e la moda, ci sono anche beni e servizi, quindi aziende, che hanno beneficiato del cambiamento degli stili di vita, dallo smart working al maggior tempo trascorso tra le pareti domestiche. Al primo posto non potevano non essere i giganti di Internet con il boom dell’e-commerce. Tanto che nel 2020, secondo la Conferenza Onu sul commercio e lo sviluppo, lo shopping online è cresciuto nel mondo del 19% per un valore totale di 26,7 trilioni di dollari.

Ovviamente, non tutto ciò che riguarda il web è diventata una miniera d’oro, anche per quotazioni borsistiche con il Nasdaq che ha inanellato un record dopo l’altro. Perché se Amazon ha chiuso il primo trimestre 2021 con ricavi in crescita del 44% a 108 miliardi – e bene nel 2020 sono andate anche la cinese Alibaba e JD.com, c’è chi, come Booking e Airbnb, ha subito la crisi del turismo e della sharing economy. Se nel primo trimestre del 2021 l’e-commerce, secondo lo Shopping Index di Salesforce, è aumentato di un altro 58%, l’Italia ha fatto anche meglio con un più 78%. Online, spiega l’Osservatorio eCommerce B2C di Netcomm e Politecnico di Milano, gli italiani hanno comprato nel 2020 soprattutto beni e prodotti fisici per un valore complessivo di 23,4 miliardi, oltre 5,5 in più del 2019.

Ma quali sono i prodotti e i servizi premiati dalla pandemia? Nell’anno dello smartworking le piattaforme di videochiamate come Teams (Microsoft), Google e Zoom. L’intrattenimento, da Disney a Netflix a Prime Video piuttosto che il mondo del delivery per la consegna di pasti e cene a casa. Così, secondo un recente studio di Mediobanca sull’impatto del Covid sulle multinazionali, a registrare il segno più sono stati il websoft (+19,5%), la Gdo (+8,5%) e l’alimentare (+7,9%) mentre hanno sofferto soprattutto la moda (-17,3%), l’aeronautica (-26,8%) e l’oil&gas (-32,9%).

Un osservatorio privilegiato per capire chi ha perso e chi ha guadagnato è l’ultima Analisi dei settori industriali di Intesa Sanpaolo e Prometeia. Rapporto da cui emerge che se il manufatturiero ha perso nel 2020 il 9,3% ci sono settori con il segno più come la farmaceutica (+0,8%) o che hanno limitato il calo all’1,4% (alimentare e bevande) e all’1,5% (elettrodomestici). Ovviamente le medie non dicono tutto perché, spiega Fabrizio Guelpa, responsabile della Ricerca Industry & Banking di Intesa Sanpaolo, la pandemia ha favorito nella farmaceutica tutto ciò che riguardava il Covid e sfavorito altre classi di farmaci. Così, il segno meno di alimentari e bevande rispecchia la caduta di vendite nel canale Horeca e l’aumento di quelle al supermercato (+0,5% il tendenziale a maggio per la Gdo nel food) favorendo (si pensi al vino) più i prodotti di fascia media che le etichette da ristoranti stellati.

I lockdown del resto non hanno cambiato solo i consumi a tavola ma anche la spinta all’acquisto della lavatrice, dell’aspirapolvere, del nuovo divano piuttosto che del collegamento veloce a Internet. Con il Covid, ricorda la Coldiretti, nel 2020 sono cresciuti del 26% gli acquisti diretti nei mercati contadini e del 4% al record di 3,3 miliardi i cibi bio. Ma da record (7,1 miliardi) è stata anche il valore dei prodotti italiani preferiti a quelli importati. Un segnale di fiducia nel Bel Paese come quello verso i prodotti delle grandi marche che, spiega Ivo Ferrario, direttore relazioni esterne di Centromarca "hanno rappresentato un punto di riferimento fondamentale per il consumatore". Ma, chiosa Guelpa, i vincitori della crisi da Covid potrebbero non essere gli stessi fra un anno quando la classifica, anche per gli investimenti del Pnrr, potrebbe rovesciarsi rilanciando auto, costruzioni, elettronica, meccanica e moda.

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