Gas mare Adriatico, ci serve ma una legge blocca le trivelle

Bocciati 37 progetti finalizzati a trovare nuovi giacimenti nel sottosuolo. Colpa delle norme varate dal primo governo Conte

Operai al lavoro su una piattaforma offshore per estrarre gas dal sottosuolo

Operai al lavoro su una piattaforma offshore per estrarre gas dal sottosuolo

Se l’embargo al gas russo è ancora un’ipotesi, la rinuncia a 37 potenziali miniere di energia è già nero su bianco. Proprio così: secondo la testata specializzata Staffetta Quotidiana, fra il 7 e il 14 marzo scorsi il Ministero della Transizione ecologica ha bocciato le domande inoltrate tra il 2004 e il 2009 da aziende che si proponevano di sondare il sottosuolo alla ricerca di nuovi giacimenti. Compagnie come Total, Shell, Northern Petroleum, Rockhopper, Aleanna, Mac Oil, Apennine, Canoel ed Eni. Insomma, abbiamo sete ma evitiamo accuratamente di aprire le bottiglie dell’acqua.

I motivi di tanti rifiuti vanno ricercati nel fantomatico Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee varato dal Governo Conte I e operativo da appena quattro mesi. Quando si dice il tempismo. Il titolo, per quanto burocratico, è infarcito di parole nobili e di gran moda. Una, però, ha tutta l’aria del signor no:"idonee". Cosa vuol dire? Che, ad esempio, c’è sottosuolo e sottosuolo. Non tutti possono essere sfruttati. Le zone industriali sono escluse, così come pure quelle naturali. In mare va bene, ma a patto di scavare a debita distanza dalla costa. Le aree naturali? Neanche a dirlo. L’immunità scatta anche per le colture di pregio, titolo che Puglia e Molise hanno riconosciuto all’intera superficie regionale. Insomma, i paletti sono tanti. Tantissimi. Talvolta insormontabili.

Assorisorse, associazione confindustriale delle compagnie minerarie, li ha studiati. Dall’analisi emerge uno stato dell’arte deprimente. Pare che su 45 permessi per dare la caccia a giacimenti vergini, 42 subiranno il blocco o la revoca; per 37 di essi, come detto, è già stato suonato il De profundis. Tirando le somme, oggi disponiamo di 108 giacimenti di gas attivi. Ma 20 concessioni saranno cancellate e 36 sono sub judice. Per altre 31 scatteranno limiti scaccia-investimenti. Tradotto: la faranno franca 21 giacimenti, meno del 20 per cento. Se queste sono le premesse, il piano inserito dal governo nel Decreto energia per riscoprire i giacimenti italici appare di difficile attuazione.

Eppure, spiega il professor Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, "solo nell’Adriatico, dai Lidi ferraresi alle Marche, si potrebbero rimettere in moto circa 50 piattaforme, pronte a fornire circa 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno". Pochi se paragonati ai 21 prodotti dal nostro Paese nel 1994. Non è tutto: al largo di Chioggia – aggiunge il docente – si stima la presenza sotterranea di circa 50 miliardi di metri cubi di gas".

Sarà difficile andarli a prendere. Dopotutto, a Rimini mancava solamente il tubo per collegare il giacimento Giulia alla terraferma, ma il metanodotto è stato congelato dal Pitesai. Stessa sorte per la piattaforma Bonaccia, di fronte a Porto Recanati, nel Maceratese. I piedi di acciaio hanno accolto coralli e aragoste, trasformandosi d’emblée in un rifugio ambientale. Uno scherzo della natura.