Cassa integrazione e poi la crisi, a rischio un milione e mezzo di posti di lavoro

Oltre 11 milioni i lavoratori in cassa integrazione o con indennità da 600 euro. Si teme un'ondata di licenziamenti. Gli esperti: tutelare l'occupazione, via i limiti e i vincoli del decreto Dignità

Un centro di coordinamento per l'emergenza Covid (Ansa)

Un centro di coordinamento per l'emergenza Covid (Ansa)

Roma, 23 aprile 2020 – Per ora c’è la cassa integrazione con marchio Covid-19 e l’indennità per i lavoratori autonomi. Ma, tempo qualche mese, e con un Pil in caduta a meno 9 (meno 15 nel primo semestre) il rischio di un’ondata di licenziamenti collettivi incombe come uno spettro nell’immediato dopo-Coronavirus. E’ l’effetto più drammatico del dopo-emergenza e mette in allarme da settimane i sindacati e gli addetti ai lavori: basti pensare che se solo un 10-12 per cento degli attuali destinatari di sussidi perdesse definitivamente il lavoro, ci troveremmo con una platea di un milione e mezzo di nuovi disoccupati. Senza considerare che a rendere la prospettiva più drammatica potrebbero rivelarsi proprio i vincoli (su assunzioni, contratti a termine e in somministrazione) introdotti dal decreto Dignità e che a gran voce esperti e associazioni di categoria chiedono di rimuovere con urgenza.

Gli ultimi dati Inps indicano in 6,7 milioni i lavoratori dipendenti destinatari di Cassa integrazione e assegno ordinari (di cui oltre 4 milioni con indennità anticipata dal datore di lavoro). A questi si devono aggiungere i percettori della Cassa in deroga (con 64 mila aziende che hanno presentato domanda, ma solo 4.200 erogazioni effettuate per i ritardi delle regioni). I  lavoratori autonomi che hanno chiesto l’indennità di 600 euro sono circa 4,3 milioni (di cui 3,5 hanno ricevuto il pagamento). In totale, parliamo di 11 milioni ai quali sommare da qui a breve almeno altri due milioni di cassintegrati in deroga). Si comprende, dunque, come il rischio di un milione e mezzo di disoccupati a fine ammortizzatori sia più che reale.

Avvisa, non a caso, Maurizio De Conte, ex numero uno dell’Anpal, uno dei padri del Jobs Act: "La cassa integrazione è stata legata al divieto di licenziamento perché il governo sa che, in mancanza della cig, le imprese non potranno sostenere il costo di tutto il personale. Con il prossimo decreto ci sarà una proroga di questo meccanismo, probabilmente per altri due mesi. Ma è chiaro che quando questo meccanismo finirà, si aprirà la strada dei licenziamenti".

Ma che cosa fare quantomeno per ridurre l’impatto della depressione sul mercato del lavoro? "Per evitare che la cig si trasformi nell’anticamera della disoccupazione – aggiunge Del Conte - si devono prevedere incentivi economici per la ricollocazione dei lavoratori verso i settori che per primi agganceranno la ripartenza e che si troveranno in difficoltà a reperire le competenze necessarie, come la sanità, la logistica, e tutta la filiera del digitale. Dunque, è necessario giocare d’anticipo rispetto alla fine dell’intervento della cassa integrazione, consentendo ai lavoratori sospesi in cig di lavorare presso altre aziende, anche con contratti temporanei, eliminando il divieto di cumulo fra il trattamento di integrazione salariale e retribuzione, perché genera un forte disincentivo alla ricerca di un'altra occupazione, mentre la possibilità di aggiungere al trattamento di cassa anche la retribuzione stimolerebbe i lavoratori ad attivarsi e garantirebbe alle imprese l’immediato reperimento delle competenze professionali più allenate e vicine al mercato del lavoro".

Gli economisti, d’altra parte, ipotizzano una ripresa lenta con imprese che faranno fatica a riassumere a tempo pieno e indeterminato.

Dunque, come osserva Alessandro Ramazza, Presidente di Assolavoro, l’Associazione delle Agenzie per il lavoro, "i limiti e gli oneri aggiuntivi per i contratti di lavoro dipendente a termine, in via diretta o in somministrazione, hanno già mostrato notevoli criticità prima che prendesse forma l’attuale emergenza. E allora a maggior ragione in questa fase va evitato che chi ha un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, scaduto il termine, non possa averlo rinnovato per i limiti del legislatore, a cominciare dalle causali. E questo vale per ora e varrà naturalmente anche in fase di progressiva ripresa, perché le aziende prima di procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato sperimenteranno cautamente contratti a termine".

Insomma, incalza, Ramazza: «C’è bisogno di agilità, per accompagnare efficacemente una ripartenza improntata alla sicurezza. L’intervento su contratti a tempo determinato, diretti o in somministrazione, è, d’altra parte, una operazione senza oneri per lo Stato e che va incontro a esigenze di lavoratori, imprese, sistema economico nel suo insieme».

Di sicuro – spiega a sua volta Emmanuele Massagli, Presidente di Adapt - "ha ragione ragione Draghi quando suggerisce di compiere ogni sforzo possibile per preservare l'occupazione, il reddito da lavoro, per evitare di ritrovarci una società di sussidiati. O, meglio, potenziali sussidiati, perché non avremmo fondi a bilancio per riconoscere a tutti un reddito, sia esso di "cittadinanza" o di "emergenza". La cassa integrazione, dunque, è uno dei migliori sistemi oggi esistenti in Occidente per congelare i posti di lavoro e anche oggi, come durante la crisi del 2008, si sta rivelando preziosa. Il meccanismo è però costoso e rinvia le ristrutturazioni aziendali tipiche del dopo-crisi (uno dei motivi per cui le imprese ripartono) fino a quando non si sono esaurite tutte le opzioni alternative. E' un palliativo, che aiuta l'economia malata, ma non la cura".

E la cura quale può essere? "E' necessario - insiste Massagli - riattivare il prima possibile i mercati interni (si pensi ai pubblici esercizi, al commercio al dettaglio, al turismo) per fare uscire gradualmente le persone dal limbo della cassa integrazione, accompagnandole laddove si tornerà a creare lavoro. Se non si procede in questo senso, questi stessi lavoratori appariranno improvvisamente, tutti insieme, nella statistica dei disoccupati, quando sarà terminato il periodo di cassa integrazione. Il motivo per cui abbiamo uno tra i più avanzati meccanismi di politica passiva, però, è che sappiamo benissimo di essere uno dei peggiori Paesi in materia di politica attiva: più saranno i disoccupati, meno saranno capaci le nostre amministrazioni pubbliche (nazionali e regionali) di ricollocarli".

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