Giovedì 18 Aprile 2024

Economia in frenata, colpa del caro energia. Tassi, stangata sui mutui

Secondo il centro studi di Confindustria, il rialzo dei tassi comporterà un aumento del costo dei prestiti alle imprese di 2,3 miliardi, mentre l'inflazione fiaccherà i consumi delle famiglie.

Milano, 2 dicembre 2022 - Contrazione o espansione? Quale sarà il risultato dell’ultimo trimestre dell’anno, importante soprattutto per mettere fieno in cascina per il 2023, è ancora presto per dirlo. Di sicuro c’è il fatto che, dopo gli incoraggianti dati Istat che hanno certificato un tasso di occupazione che ha raggiunto il record storico da 45 anni a questa parte, l’economia italiana potrebbe persino evitare una recessione. Perlomeno quest’anno, ché l’anno prossimo è ancora pieno di incognite.

Il terzo trimestre, quello che va da luglio a settembre, ha segnato un +0,5%, valore che porta la crescita acquisita per il 2022, ovvero quella che si avrebbe se negli ultimi tre mesi dell’anno l’economia si dovesse fermare, al 3,9%. Un dato ottimo che ha colto di sorpresa anche centri di ricerca e analisti e che ha beneficiato soprattutto del boom del turismo estivo. L’industria, dal canto suo, ha tenuto (-0,4% nel trimestre), sebbene la situazione sia molto variegata da settore a settore. A dare un po’ di respiro, oltre agli interventi del governo per contrastare il caro energia, è stata soprattutto la flessione nei prezzi delle commodities registrata a partire da settembre. Eppure, le prospettive non sono rosee.

economia domestica
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Per il centro studi di Confindustria, nel quarto trimestre si rischia “un calo”: “gli indicatori qualitativi sono nel complesso negativi; il prezzo del gas resta alto, da troppi mesi; l’inflazione che ne deriva (+11,8% annuo) erode reddito e risparmio delle famiglie e avrà un impatto negativo sui consumi; il rialzo dei tassi si sta accentuando, un’altra zavorra sui costi delle imprese”. È quanto emerge dall’ultima nota congiunturale pubblicata dall’associazione degli industriali che traccia un quadro in chiaroscuro della situazione dell’economia italiana, frutto dell’incertezza dell’ultimo anno. Incertezza che ha come causa principale l’andamento delle quotazioni dell’energia.

Il prezzo del gas, dopo una robusta flessione a ottobre, quando in media scambiava a 72 euro al megawattora, a novembre ha ripreso a salire (l’ultimo prezzo è 139 euro). Il petrolio, invece, continua a oscillare intorno ai 90 dollari al barile, molto al di sotto dei 123 toccati a giugno. Per quanto riguarda la manifattura, invece, gli indicatori qualitativi sono peggiorati nell’ultimo periodo, “tracciando la rotta” si legge nella nota di Confindustria, “per un più pesante segno meno nel 4° trimestre”. L’indice Pmi, che raccoglie i dati sugli acquisti di materiali da parte delle imprese, a ottobre è sceso a 46,5 (sotto i 50 segnala un’attesa di contrazione dell’attività) mentre anche i giudizi sugli ordini continuano a calare (-9,6 a novembre).

Ma frenano anche le costruzioni (+0,2% a settembre) che nel terzo trimestre, dopo sei di crescita continua, segnano una contrazione del 2,2%. Venendo agli altri settori, quello più dinamico è stato il turismo, che nei tre mesi estivi ha visto il ritorno in massa dei viaggiatori stranieri. Per la prima volta la spesa dei turisti che vengono dall’estero ha superato i valori precedenti al Covid, con settembre che ha segnato un +11,4%. Anche per il terziario, però, i segnali sono misti. Se a ottobre l’indice Pmi servizi è sceso da 48,8 a 46,4, a novembre la fiducia dei consumatori ha recuperato. C’è poi da considerare la svalutazione dell’euro, che ha spinto l’export italiano. Non a caso le vendite sono state trainate dal mercato Usa, soprattutto nel farmaceutico e nell’abbigliamento.

Nel complesso le esportazioni hanno segnato un +2,7% nel terzo trimestre, che, però, al netto dell’effetto prezzi, si sgonfia al +1,1%. Ma quali sono gli elementi che, in prospettiva, rischiano di frenare la crescita? Prima di tutto, l’inflazione: la lotta condotta dalla Bce per riportarla in carreggiata a colpi di rialzi dei tassi di interesse (ora al 2%), avrà effetti pesanti sull’economia. Inoltre, la stretta monetaria di Francoforte ha determinato un aumento dei rendimenti sui titoli di Stato in tutta l’area Euro, rafforzando un trend di crescita già in atto a inizio anno sulla scia dei rialzi stabiliti dalla Federal Reserve negli Usa. Il Bund a 10 anni è salito al 2,1% in media a novembre, dal -0,31% a fine 2021. Si è ampliato anche lo spread, che a novembre ha segnato un +1,90% a novembre, dal +1,28%, con il rendimento del Btp che ha toccato il 4% a novembre, (a fine 2021 era a 0,97%). Ma il rialzo degli interessi sul decennali ha un’importanza cruciale per l’economia reale perché determina il costo della raccolta bancaria e, quindi, i tassi che gli istituti di credito applicano ai prestiti a famiglie e imprese. Tassi che sono di conseguenza aumentati per le aziende di quasi un punto (dall’1,74% a 2,59% per le piccole e medie imprese e dallo 0,76% all’1,69% per le grandi).

Per le famiglie il tasso Taeg, comprensivo di oneri vari, per il credito al consumo è già salito dall’8,08% all’8,83% a settembre, quello sui mutui da 1,78% a 2,65%. Stando ai calcoli di Confindustria, il costo del credito per le imprese dovrebbe aumentare di 2,3 miliardi in un anno. Ma se il rialzo dei tassi dovesse seguire in pieno quello dei Btp, l’incremento sarebbe di 6,8 miliardi. Ed è proprio questo il rischio maggiore per l’economia italiana. Infatti il rialzo dei tassi va ad incidere sulla liquidità delle imprese, già oggi in rapido deterioramento. L’indicatore qualitativo, sebbene non ai minimi toccati nel 2020, è in rapida flessione, e riflette la maggior fetta di risorse che le aziende devono impiegare per pagare i costi di materie prime ed energia. Per le aziende, già cariche di debiti contratti durante la pandemia, il problema è che il caro energia le costringe a indebitarsi ancora di più per far fronte ai pagamenti. Il tutto in un contesto di tassi crescenti che aumenta il costo dei prestiti. In prospettiva, il rischio è che, con l’onere del debito che assorbirà una quota crescente del fatturato, le aziende riducano gli investimenti. Questo mentre le famiglie, a fronte di rate più alte per mutui e prestiti, e con i bilanci fiaccati dall’inflazione, cominceranno a spendere e a consumare di meno.