Villois
Il Pnrr sembra essere un po’ in sonno. Non nel conferimento delle risorse approvate destinate all’Italia, erogate nei termini previsti nonostante vi fossero dubbi sulla possibilità di ottenerli a causa di carenze relative agli obblighi assunti dal governo, come ad esempio il ritardo nel dare attuazione alle riforme. Ma è la messa in opera dei cantieri, sia di competenza governativa sia degli enti locali, che difetta. Il fine lavori è previsto inderogabilmente al 2026, ovvero tra circa 32 mesi, mentre a oggi i dati dicono che siamo a meno del 20% di quanto è in corso d’opera, in rapporto alle risorse finanziare erogate dall’Europa. Il ritardo potrebbe essere colmato solo nel caso siano già affidate le opere ad imprese in grado di effettuarle e che non vi siano contestazioni di qualunque natura. A meno che la nuova Commissione, che si insedierà entro l’autunno, non decida di prorogarne i termini. Va da se che allungare i termini non fa che produrre minori contributi alla nostra economia in termini di occupazione, salari, contribuzioni previdenziali e fiscali, ovvero meno crescita del Pil. Purtroppo il triennio precedente ha apportato al nostro Pil poco o nulla, facendo scemare le attese per l’attuale triennio. Occorre ricordare che circa il 60% delle risorse europee del Pnrr, pari a oltre 120 miliardi di euro, è sottoforma di debito da restituire, seppur a lunghissimo termine e con un gravame di modesti interessi. Ma essendo nuovo debito, tale importo inciderà sul debito pubblico, favorendone una crescita che sforerà ampiamente la soglia psicologica dei 3 trilioni di euro, motivo per cui è necessario che produca una sostanziosa crescita del Pil.