Giovedì 18 Aprile 2024

Cambiamento climatico, salasso da 252 miliardi in un anno

A Sharm-el-sheik i Paesi del mondo sono impegnati nel Cop27 per affrontare il global warming e contrastarne gli effetti. Un problema ambientale ma anche economico, visto che per il clima impazzito perdiamo il 7,6% del Pil mondiale ogni anno. Ecco chi ci perde di più.

Cop27

Cop27

Bologna, 13 novembre 2022 - Sharm el-Sheik, letteralmente, significa 'baia dello sceicco'. In quei lidi sono riuniti in questi giorni i rappresentanti dei prinicipali Stati del mondo per parlare di economia e ambiente, due temi sempre più intrecciati. COP27, ossia la XXVII Convenzione quadro dell'Onu sui cambiamenti climatici, è approdata in Egitto un anno dopo l'analogo appuntamento scozzese di Glasgow del 2021, e si chiuderà il 18 novembre prossimo. Si parla di clima, dunque, ma anche di soldi, perché il potenziale di manovra dell'Onu sul primo dipende dalla disponibilità dei primi. O, più nel dettaglio, dai molti soldi promessi negli ultimi anni dai Paesi più sviluppati e storicamente (ma pure attualmente) più responsabili delle bizze climatiche degli ultimi anni, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. I quali, ironia della sorte, sono spesso anche quelli che, per posizione geografica e scarsità di risorse economiche per farvi fronte, le conseguenze di inondazioni, disgeli, siccità e cataclismi vari le vivono in prima linea.

La 'giustizia climatica'

È il tema annoso della 'giustizia climatica', incarnato prima di ogni altra considerazione da una cifra molto precisa: 2.400 miliardi di dollari. Già, perché a tanto ammonta il fabbisogno annuo delle nazioni del cosiddetto 'Global South', da qui al 2030, per provvedere all'implementazione dei propri piani per il clima. E secondo i programmi stilati in quel 2009 in cui la promessa di finanziare la svolta climatica dei più poveri fu messa nero su bianco dai più ricchi, le erogazioni avrebbero dovuto procedere, dal 2020 al 2025, a un ritmo di almeno 100 miliardi all'anno. Ma, al momento, nemmeno questa cifra simbolica è stata raggiunta, con i finanziamenti annuali fermi a quota 84 miliardi. Soprattutto a causa della scarsa munificenza degli Stati Uniti, che di miliardi all'anno ne stanno mettendo sul piatto solo 3, a dispetto di un'incidenza enorme sull'inquinamento globale. Mentre l'Unione Europea, per il secondo anno consecutivo, dalle sue tasche nel 2021 ne ha tirati fuori 23 (parola di Ursula von der Leyen) e mentre la Cina, pur impegnata in un ambizioso piano di azzeramento delle proprie emissioni, sembra giocare su più tavoli. Autoescludendosi dal novero dei Paesi più industrializzati, rilanciando per bocca del suo negoziatore alla COP27, Xie Zhenhua, la necessità di cooperare per il cambiamento e aspettando al varco, nei fatti, un Joe Biden che l'inviato statunitense, John Kerry, giura essere ancora determinato a tenere fede alle promesse.

Quali economie rischiano di più per il clima

Ma il punto è che, mentre i più potenti discutono e fanno i conti, su questo come su molti altri tavoli, con le reciproche diffidenze politiche ed economiche, le cifre in ballo restano comunque largamente insufficienti per tappare le falle aperte dal clima impazzito in nazioni di ogni ordine e dimensione. Da potenze demografiche e militari di peso non secondario come India e Pakistan, provate da ondate di calore e inondazioni senza precedenti, a Stati africani di primo piano come la Nigeria, anch'essa alle prese con esondazioni inattese, fino a un'Africa centro-occidentale sempre ostaggio della siccità e agli arcipelaghi dell'Oceania come Palau, destinati di questo passo ad essere letteralmente sommersi dal mare.

I costi dell'inquinamento

Da un lato, infatti, le stime dell'Emdat relative al 2021 hanno valutato in 252,1 miliardi di dollari i costi globali degli eventi climatici estremi nel solo scorso anno (contro una media di 153,8 miliardi di dollari l'anno nel periodo 2001-2020). E, dall'altro, le 55 nazioni più vulnerabili del Gruppo V20 (i 'vulnerable twenties' ormai spaventosamente aumentati di numero) stimano, nell'ultimo ventennio, perdite combinate di addirittura 525 miliardi. Pari al 20% del totale del loro Pil e destinate, secondo le previsioni, a crescere fino a quota 580 miliardi entro il 2030. E a zittire chi fosse ancora convinto che tutto sommato siano problemi loro quest'anno ha pensato, fra gli altri, il 'Global Turning Point Report 2022' di Deloitte. Secondo il quale stare fermi, rifiutandosi dunque di contribuire a una svolta 'climate-friendly' della quale tutti hanno uguale bisogno, “potrebbe costare all'economia globale 178 trilioni di dollari nei prossimi 50 anni”. Per arrivare a un 2070 in cui “la perdita media annua del Pil si assesterebbe sul -7,6% rispetto a uno scenario non affetto dal cambiamento climatico”. Al contrario, “accelerando rapidamente il processo di decarbonizzazione, l'economia globale potrebbe guadagnare 43 trilioni di dollari nei prossimi cinque decenni”. A beneficio di tutta l'umanità, non solo dei cittadini di Palau.