Martedì 23 Aprile 2024

Brexit, Trump e la nuova Europa Mercati già in crisi di nervi «L’economia non si riprende»

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MILANO

ALLA VIGILIA della formazione di una nuova Commissione Europea, i mercati sono sull’orlo di una crisi di nervi. L’ascesa dei partiti populisti complica le prospettive di approvazione di riforme cruciali per il rafforzamento dell’unità europea e potrebbe ostacolare gli sforzi dei governi dell’Ue di presentare un fronte unito in caso di una guerra commerciale globale.

«Per ora Donald Trump ha rinviato ogni decisione sulle auto europee, ma potrebbe decidere nuovi dazi entro la fine dell’anno. Il rischio che ciò accada, tutt’altro che piccolo, ricorda alla zona euro la sua vulnerabilità: dipendente in modo cronico dalle esportazioni, si trova esposta più di ogni altra area del mondo alla guerra commerciale fra gli Stati Uniti e la Cina. Non è un caso se proprio nelle due maggiori economie manifatturiere dell’area, Germania e Italia, la crescita è più bassa e vicina ormai allo zero», commenta Fabrizio Quirighetti, capo economista della svizzera Banca Syz.

IL PROBLEMA principale dell’Europa, per Quirighetti e gli altri investitori, resta dunque la crescita. «Gli ultimi segnali sono deludenti e malgrado l’economia si sia stabilizzata e non sia più in contrazione, speravamo in un rimbalzo che non c’è stato», spiega Quirighetti. Del resto, l’unica spinta che tiene su la crescita, di questi tempi, sono i consumi e in Europa sono piatti, sia per il declino demografico che per la scarsa volontà dei governi a sostenerli. «L’altro punto debole, per l’Europa, è il rallentamento dell’economia cinese, che quest’anno potrebbe fermarsi a +6,5%, una crescita notevole in termini occidentali ma veramente misera per la Cina, ai minimi di quasi trent’anni», fa notare Quirighetti.

QUESTO impatta sull’Europa, che ormai è molto esposta sul mercato cinese. «Una volta, se l’economia americana cresceva, andava bene anche quella europea, ma oggi non è più così e il rallentamento cinese si rispecchia anche nell’andamento piatto dell’economia tedesca», rileva Quirighetti. L’Europa, quindi, rischia la stagnazione.

In questo contesto, la dinamica politica in atto apre ulteriori motivi d’incertezza, sia a Bruxelles sia a Londra. Al centro delle preoccupazioni, come al solito, c’è l’Italia, che sull’onda dei nuovi equilibri potrebbe essere incoraggiata a sforare il limite del 3% di deficit sul Pil.

«Più che lo spread con la Germania, che in caso di una rottura fra Roma e Bruxelles sul deficit potrebbe schizzare oltre i 300 punti, però, quello che mi sembra più preoccupante sul lungo periodo è lo spread con il Portogallo e la Spagna», commenta Quirighetti con una battuta.

I NUMERI dimostrano chiaramente come il mercato stia tornando a “prezzare” il rischio Italia. Mentre i rendimenti del decennale italiano viaggiano oltre il 2,5%, quelli portoghesi sono fermi attorno all’1% e quelli spagnoli ancora più bassi. Il caso più eclatante riguarda la Grecia, Paese simbolo della crisi dell’euro: lo spread fra i titoli italiani e greci ormai è ridotto a poche decine di punti base, al minimo da oltre 10 anni a questa parte.

«Questo significa che mentre Portogallo e Spagna erano considerati Paesi periferici come l’Italia, ora lì si è mosso qualcosa e in periferia è rimasta solo l’Italia insieme alla Grecia», ragiona Quirighetti.

La buona notizie è che le banche centrali non stanno più parlando di normalizzare il costo del denaro. «Sia la Fed che la Bce sembrano decise a mantenere bassi i tassi ancora per un lungo periodo e finché i tassi rimangono a zero, per trovare i rendimenti bisogna assumersi un po’ di rischio», ammette Quirighetti. In questo caso, i titoli italiani possono diventare attraenti: siamo rischiosi ma pur sempre europei.

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