Mercoledì 24 Aprile 2024

Boco (Uiltucs): “Un Recovery Fund per il turismo, il commercio, i pubblici esercizi"

Intervista a Brunetto Boco, leader della Uiltucs, il sindacato del terziario della Uil: "Servono ben altri interventi, risptto a quelli tampone, per evitare i fallimenti delle aziende e licenziamenti di massa alla fine del blocco. Occorre un piano Marshall per il turismo, il commercio, la ristorazione, un piano che punti a sostenere le imprese finanziariamente e fiscalmente in maniera adeguata in tutto e per tutto e che preveda ammortizzatori e politiche attive per il lavoro degne di tale nome".

Brunetto Boco

Brunetto Boco

ROMA – «Il 2020 è un anno perduto e se almeno si riesce a salvare in parte il Natale sarà un bene per tutti – avvisa Brunetto Boco, leader della Uiltuc, il sindacato del terziario della Uil - ma sarà solo una boccata di ossigeno per le centinaia di migliaia di lavoratori e le migliaia di imprese del turismo, del commercio e della grande distribuzione, della ristorazione, dei pubblici esercizi che sono stati letteralmente travolti e falcidiati dalla drammatica recessione dovuta all’emergenza Coronavirus. A questo punto, sebbene ancora completamente dentro il tunnel della pandemia, per evitare di trovarci in pochi mesi in un’Italia desertificata nelle sue attività terziarie occorre davvero una svolta fondamentale da parte del governo: una svolta che passi da interventi non più solo di ristoro ma di spinta alla resurrezione e al rilancio del settore». Insomma, «serve un vero Recovery Fund» del terziario e dei servizi.

Turismo, commercio, pubblici esercizi: pagate il prezzo più alto nell’anno più nero del Dopoguerra.

«Per i nostri settori si tratta dei dodici mesi più drammatici dalla fine della Seconda guerra mondiale. Basta mettere in fila i numeri e le percentuali usciti a getto continuo in questi mesi per rendersi conto di trovarsi di fronte a un tracollo senza precedenti. E’ del tutto evidente che il Pil a fine anno risulterà in caduta libera di ben oltre il 10 per cento, ma di questa caduta noi, come settore, risentiamo più di tutti gli altri che, in taluni casi, hanno visto anche incrementi di fatturato».

Sembrava che tra giugno e inizi settembre proprio questi settori si stessero riprendendo, ma la seconda ondata ha travolto ogni previsione favorevole.

«Intendiamoci, il primo lockdown aveva già prodotto danni enormi che non erano stati certamente compensati dagli aiuti arrivati per quelle chiusure. Tanto più che, al di là delle restrizioni, continuava a mancare la quota rilevante e vitale dei turisti stranieri rimasti lontano dall’Italia anche durante l’estate. Ma poi è arrivata la seconda ondata e ha finito di farci precipitare ancora più giù nel pozzo della depressione economica e sociale».

Ritiene che le restrizioni e i divieti per le attività economiche imposti dal governo siano eccessivi?

«Non entro in questo meccanismo di ragionamento, perché è a questo punto fuorviante. Osservo che nei mesi passati sono stati fatti investimenti notevoli per mettere le attività in sicurezza e che il sindacato ha condiviso rigorosi protocolli per garantire la sicurezza del lavoro. Rilevo anche che il governo e le regioni, invece, sono arrivati alla seconda ondata ampiamente impreparati. Ora, però, le cose stanno come stanno. E ci ritroviamo a contare danni su danni».

Quali stime si possono fare?

«Anche questa volta, a fare le spese della seconda ondata saranno soprattutto le attività come il commercio e la ristorazione, il turismo, i pubblici esercizi. Due terzi di queste infatti prevedono un calo drastico di fatturato nel 2020 e solo il 21% prevede di riprendere i propri livelli produttivi «a partire del 2021. Le restrizioni le chiusure rischiano di causare un’ulteriore perdita di consumi e di Pil di circa 17,5 miliardi di euro nel quarto trimestre dell’anno, portando la riduzione complessiva dei consumi nel 2020 a oltre 133 miliardi di euro rispetto al 2019 (-12,2% in termini reali). La caduta della spesa presso gli alberghi supererebbe il 55% e quella presso la ristorazione si avvicinerebbe al 50%».

Uno scenario da economia di guerra: come reagire? I ristori e la cassa integrazione non bastano?

«I ristori e la cassa integrazione certo che non bastano. Possono servire a tamponare la falla, come misure di emergenza. Anche se va sottolineato che anche per questo non c’è confronto con quello che hanno messo in campo Paesi, come la Francia e la Germani. Di sicuro servono ben altri interventi per evitare i fallimenti delle aziende e licenziamenti di massa alla fine del blocco. Occorre un piano Marshall per il turismo, il commercio, la ristorazione, un piano che punti a sostenere le imprese finanziariamente e fiscalmente in maniera adeguata in tutto e per tutto e che preveda ammortizzatori e politiche attive per il lavoro degne di tale nome».

C’è il rischio, però, che nel frattempo il commercio online e i giganti come Amazon finiscano per distruggere definitivamente i piccoli negozi.

«Il rischio che la pandemia determini un’accelerazione incontrollata di processi cominciati prima senza regole esiste concretamente. E di sicuro non possiamo continuare ad assistere inermi. Dobbiamo farci sentire perché il governo e l’Europa agiscano per tassare adeguatamente i giganti del web e del commercio elettronico, in maniera da realizzare un fondo per sostenere proprio i piccoli negozi e aiutare anche il loro approdo sulla rete. E, d’altra parte, sarebbe arrivato anche il momento per imporre a colossi come Amazon limiti adeguati alle commissioni».

Un altro pericolo costante è quello dell’usura e delle infiltrazioni mafiose nelle aziende entrate in difficoltà.

«E’ un capitolo che richiede la massima considerazione e la massima attenzione da parte della magistratura e delle forze dell’ordine. Noi abbiamo lanciato più volte l’allarme e ci aspettiamo che sia stato raccolto da chi di dovere. Di sicuro vigileremo».

Un’ultima domanda: in tuto questo è scaduto il contratto collettivo di lavoro del terziario, distribuzione e servizi: sarà rinnovato?

«Noi ci attendiamo che, anche nelle difficoltà gravi che abbiamo raccontato, le associazioni d’impresa facciano la loro parte, come la stanno facendo i lavoratori. Ai primi di novembre abbiamo incontrato la rappresentanza datoriale e abbiamo condiviso l’esigenza di svolgere in tutto e per tutto il confronto per dare risposte alle esigenze che per noi sono innanzitutto quelle dei lavoratori. Senza che questo ci faccia chiudere gli occhi, anzi, su quelle delle imprese». 

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