BloomProject, il miraggio dell’oasi nel deserto

L’innovazione tecnologica supportata da Prima

L’oasi nel deserto è il miraggio per eccellenza. Oggi c’è chi sta lavorando per rendere reale quella visione. Serre idroponiche, riutilizzo di acque: innovazioni tecnologiche che rappresentano l’ultima frontiera dell’agrifood per il modo in cui sintetizzano opportunità e sostenibilità in luoghi non semplici, a volte estremi. Esprienze di ricerca e sviluppo che nascono all’interno di PRIMA, il programma europeo che sostiene la ricerca e l’innovazione sui sistemi agroalimentari, il cui segretariato italiano, presieduto da Angelo Riccaboni al Santa Chiara Lab dell’Università di Siena, ha varato da due anni l’Osservatorio POI (Prima Observatory on Innovation), che raccoglie start up e progetti. Tra questi c’è Bloom Project, progetto della start up Glocal Impact Network, nata nel 2017, che a dicembre ha inuaugrato in Kenya, insieme a VMD Agro, il primo modulo di Agritube, un progetto idroponico che permette di coltivare anche in condizioni di estrema scarsità d’acqua.

«Da dicembre abbiamo un modulo funzionante a Nairobi – spiega Giorgio Giorgi, tra i fondatori della start up – e a luglio saremo in Madagascar per la costruzione di tre moduli. A settembre, poi, saremo in Senegal, con un progetto di cooperazione internazionale con cui costruiremo diciotto moduli suddivisi in sei comunità, dove saranno costruiti pozzi».

Per gli impianti realizzati in Kenya hanno fatto un anno e mezzo di ricerca, spingendo i loro moduli a 57 gradi, per capire fin dove si poteva arrivare. Adesso la struttura è operativa e ci vengono coltivate piante da foglia, protette da teli ombreggianti. «È un sistema idroponico semplificato – spiega Giorgi – perché l’idea di base è di un open source che possa essere adattato a vari contesti. A Nairobi, sfruttiamo un allevamento di pesci, dal quale otteniamo acque nutrienti». La start up fa ricerca collaborando con università italiane e straniere, avvalendosi della competenza di ricercatori di botanica, agraria, biotecnologie e ingegneria. Un’impostazione ‘low tech’ per portare innovazione in agricoltura.

L’acqua è il tema attorno al quale ruota anche ‘Fit4Reuse’, progetto vincitore di un bando in cui l’Italia è capofila, che a novembre è stato presentato nell’ambito di Agrifood Next. Finanziato con 2 milioni di euro sempre nell’ambito del programma PRIMA, il progetto è coordinato dal professor Attilio Toscano del Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna. «Ci occupiamo dell’uso di acque non convenzionali - spiega il professore - a partire dalle reflue depurate e dalle dissalate. Il focus è l’irrigazione, come misura di adattamento ai cambiamenti climatici, con soluzioni tecnologiche a basso costo». A oltre sei mesi dal lancio, per una durata complessiva di trentasei, sono stati progettati gli impianti pilota, adesso in fase di realizzazione, che già la prossima estate saranno testati. «Ovviamente - conclude Toscano - il progetto prevede anche una parte a scopo più divulgativo, per migliorare la percezione pubblica dell’uso di acque reflue depurate per scopi agricoli. L’Unione Europea sta approvando proprio in queste settimane il nuovo regolamento comunitario sul riuso delle acque reflue e noi stiamo organizzando per ottobre il primo ‘Water reuse day’ che si terrà a Roma».

Riccardo Bruni

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