Giovedì 25 Aprile 2024

I 'minatori' di Bitcoin: chi sono i nuovi migranti della crisi energetica

La Cina ha dato l'avvio al domino mettendo al bando le criptovalute. Ora l'aumento dei costi dell'energia elettrica mette alle corde la produzione del denaro virtuale

Bitcoin (Ansa)

Bitcoin (Ansa)

Roma, 16 gennaio 2022 - Non hanno la valigia di cartone in mano, ma quella dei ’minatori’ di bitcoin appare sempre più una vita da emigranti. Il fenomeno è stato ribattezzato dai media cinesi – ancora una volta, tutto parte da Pechino – come great mining migration, è in corso da quasi un anno ma è ben lungi dall’essere esaurito. Le ragioni dell’esodo sono diverse: la Cina – che fino al 2020 era il vero paradiso di questo discusso investimento – ha dato l’avvio al ’domino’ mettendo al bando le criptovalute, e spingendo i minatori informatici a trasferirsi negli Stati Uniti (in particolare in Texas) e in vari Paesi europei, soprattutto nell’Est. Ma ora è l’aumento dei costi dell’energia elettrica a mettere alle corde la produzione di questo denaro virtuale e a generare nuovi spostamenti.

Un'attività energivora

Il bitcoin e i suoi fratelli, infatti, vengono ’creati’ risolvendo formule matematiche attraverso potenti gruppi di computer in rete fra loro: un’attività altamente energivora, che consuma moltissimo. Quanto? Nell’ultimo report dell’Università di Cambridge, si legge che il mining globale di bitcoin consuma 125,96 terawattora all’anno di elettricità, più di Paesi come Norvegia (122,2 TWh), Argentina (121 TWh), Paesi Bassi (108,8 TWh) ed Emirati Arabi Uniti (113,20 TWh).

Il caso del Kosovo

L’ultimo caso è quello del piccolo Kosovo, che ha vietato l’estrazione di bitcoin a causa dei vasti e ripetuti blackout segnalati negli ultimi mesi dell’anno scorso. Avendo uno dei più bassi costi di energia d’Europa (grazie all’abbondanza di lignite, una tipologia economica di carbone), la piccola repubblica staccatasi dalla Serbia aveva attirato moltissimi minatori di bitcoin, in particolare nel nord del Paese. Ora, però, il governo kosovaro è stato costretto a spegnere la più grande centrale a carbone sul territorio e a importare energia dall’estero. Proprio nel momento di picco massimo dei costi di luce e gas: un problema che conosciamo bene anche in Italia. Di qui la stretta, seppur temporanea, che ha generato il panico – scrive l’inglese The Guardian – tra gli esperti del settore. Le chat su Telegram e Messenger sono esplose, piene di annunci di vendita delle ‘attrezzature’ per estrarre bitcoin (computer e accessori), e tanti kosovari stanno cercando alternative negli Stati vicini. La questione, però, è globale.

Rivolte in Kazakistan

In Kazakistan, la recente sollevazione popolare – che ha già causato ben 225 vittime negli scontri tra manifestanti e polizia – è partita proprio dagli aumenti delle materie prime. Gas e carburanti, in primis, ma anche l’elettricità, che ha subito un’impennata anche per l’importante presenza di supercomputer atti all’estrazione di bitcoin. Quando la Cina ha bannato le criptovalute, infatti, il vicino Kazakistan è stato uno dei primi Paesi in cui si sono riversati questi cercatori di oro digitale. Ad attrarre, il basso costo dell’energia e la temperatura (già a ottobre attorno agli zero gradi), ideale per queste grandi macchine. Fatto sta che, sempre secondo il report di Cambridge, il 18% di tutti i calcoli per trovare criptovalute avviene in Kazakistan, ormai il secondo Paese al mondo per estrazione di bitcoin, con oltre 90mila aziende nel settore.

Sempre più,ostili

Tra tensioni geopolitiche, bollette pazze, spinte alla sostenibilità e l’ostilità della finanza tradizionale, fare il ’minatore’ potrebbe rivelarsi sempre più difficile. L’Islanda, ad esempio, ha già fatto sapere – tramite la compagnia elettrica nazionale, Landsvirkjun – che allontanerà le aziende legate all’estrazione di criptovaluta. Anche il Paese dei geyser, infatti, sta vivendo una carenza di energia e non intende avallare ’sprechi’ con finalità speculative. Svezia e Norvegia, tra l’altro, stanno pensando di prendere provvedimenti simili. E anche negli Stati Uniti, di recente, un potente comitato del Congresso ha annunciato un’audizione sulla questione: il nodo dell’energia non è più rimandabile.