Mercoledì 24 Aprile 2024

Biologi specializzandi in ospedale senza diritti. Chi sono e cosa chiedono

Un lungo percorso di studi e un difficile accesso alla specializzazione, per la quale non esiste alcun contributo economico come invece è per i medici

Biologi al lavoro in ospedale

Biologi al lavoro in ospedale

Roma, 25 marzo 2023 - C’è un esercito di giovani talenti che aspetta risposte. Le aspetta da 23 anni, da quando nel 2000 una legge (nella fattispecie la numero 401 del 29 dicembre, all’articolo 8) ha stabilito che anche gli specializzandi in area non medica alle prese coi loro anni di percorso formativo hanno diritto a ricevere un contributo economico che li sostenga mentre nei fatti stanno già compiendo i primi passi all’interno del mondo del lavoro. Un contributo che però a oggi non è ancora stato riconosciuto. Il tema è al centro del disegno di legge presentato nei giorni scorsi dal microbiologo Andrea Crisanti, senatore del Partito Democratico, che ha immediatamente raccolto l’approvazione, tra gli altri, di Marco Giaimis, presidente nazionale dell’Associazione dei Biologi Italiani e dei Futuri Biologi.

“Siamo felici che il tema si tornato di attualità – riflette Giaimis, che è anche consigliere regionale dell’Ordine della Puglia e della Basilicata - anche perché da troppo tempo la nostra categoria subisce quella che riteniamo una inaccettabile ingiustizia. La stessa con la quale devono fare i conti anche i colleghi che operano nelle aree non mediche dedicate alla fisica, alla chimica, alla psicologia, alla veterinaria, alla farmacia, all’odontoiatria o all’informatica. In pratica ci trovavamo a lavorare spalla a spalla con altri specializzandi che invece seguono il percorso medico, che percepiscono una 'borsa' di 1.700 euro al mese, mentre noi non riceviamo nulla e anzi continuiamo a sostenere tasse e costi legati alla permanenza nell’ambito universitario. Non abbiamo nulla contro i medici, ovviamente, chiediamo solo di essere equiparati a loro".

Va bene investire su se stessi e sulle proprie competenze, ma nel caso specifico la montagna da scalare è davvero alta: comincia con la laurea triennale, alla quale seguono i due anni di quella della magistrale. E fin qui siamo in linea. Dopo di che si apre il percorso della specializzazione. “Una ulteriore criticità - prosegue Giaimis – è rappresentata dal fatto che a fronte di migliaia di laureati, in Italia la possibilità di accedere a questo ulteriore scalino è ridotta a un manipolo di poche centinaia. Lo dimostra il fatto che comprendendo tutte le categorie non mediche, le persone potenzialmente interessate dal disegno di legge di Crisanti sono meno di tremila. Davvero pochi”.

Il tema economico diventa dunque dirimente per tantissimi aspiranti candidati che devono fare i conti coi loro budget. Perché si fa presto a dire che gli italiani non vogliono lasciare le case di mamma e papà, ma nel caso specifico, una volta superata la soglia dei 25 anni e con la prospettiva di avere davanti altri 4 anni a reddito zero, come si inizia una vita indipendente? "Il percorso è davvero a ostacoli – riprende Giaimis – tanto più che anche dopo aver ultimato la specializzazione c’è da sostenere una ulteriore prova di accesso, che mette a disposizione poche decine di posti. Non faccio nomi, ma cito solo un ordine di grandezza: capita che 300 candidati debbano contendersi 19 posti. Il tutto considerando poi che il percorso di specializzando è tutt’altro che banale e comprende un minimo di 38 ore alla settimana, una soglia che rende impossibile affiancare un altro tipo di impiego, magari nel settore privato, che possa consentire di pagarsi il percorso formativo”.

Le 38 ore citate in effetti sono ben lungi dall’essere una passeggiata, come ha dimostrato il periodo del Covid, quando un esercito di specializzandi – anche in area non medica – è stato inviato in prima linea a fornire il suo contributo nella lotta alla pandemia. "C’è chi aspetta, chi si prende qualche anno cercando altri lavori per racimolare fondi e chi ancora semplicemente getta la spugna, trovandosi con le spalle al muro. Non è giusto, perché in questo modo si perdono importanti professionalità che farebbero certamente bene al nostro sistema. Perché è giusto ricordare che senza l’attestato ottenuto al termine della specializzazione, non si può accedere ai percorsi dirigenziali nell’ambito pubblico. Un grosso – e ulteriore – discrimine, ovviamente”.

E chi ce la fa? Circa dieci anni dopo aver terminato le scuole superiori e dopo essersi messi alle spalle una selva di esami e selezioni, arriva il primo stipendio. “Parliamo di un importo netto di circa 2.350 euro – chiude Giaimis – che di certo non sono briciole, ma che altrettanto ovviamente non rappresentano un contratto da paperoni. Il punto è: vale la pena aspettare così tanto tempo per poter arrivare a questo traguardo? E soprattutto, si può resistere così a lungo senza ricevere compensi? Purtroppo per tanti la risposta è negativa. Sollevammo il tema già in passato, con una manifestazione davanti al Parlamento e simo pronti a tornarci se la proposta del senatore Crisanti dovesse essere respinta”.

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