Giovedì 18 Aprile 2024

Big Tech in fuga dalla Cina, ma c'è meno Asia anche nelle imprese italiane

Il fenomeno, iniziato nel mondo del digitale agli inizi del 2000, sta coinvolgendo le aziende manifatturiere

Apple (Ansa)

Apple (Ansa)

Le Big Tech stanno spostando parti di produzione fuori dalla Cina. Gli AirPod e gli iPad della Apple, le Xbox di Microsoft e gli Smartphone Pixel di Google vengono fatti in Vietnam, dove l'energia costa meno, mentre Amazon sceglie l'India per i dispositivi Fire Tv. Sembra una vera e propria fuga. I rincari energetici spostano le produzioni in posti dove l'energia – e la manodopera – costano meno.

"Il fenomeno, però, non è nuovo”, spiega Alessandro Sordi, cofondatore e ceo dell'acceleratore di startup Nana Bianca. "Nel mondo digitale è iniziato negli anni 2000, quando le imprese hanno riportato la produzione fuori dall'Asia”. “Un ingegnere elettronico o informatico italiano – sottolinea – costa molto meno del cinese o dell'americano. Dal 2008 ad oggi lo stipendio di un operaio cinese, che partiva da livelli bassissimi, 3,5 dollari l'ora, è triplicato. La novità è che la fuga dall'Asia riguarda oggi anche il manifatturiero, con le imprese che tornano a produrre in Europa e anche in Italia, dove la manodopera costa poco e la qualità è alta". In questo momento ci sono anche altri Paesi che sono più convenientidal punto di vista del costo della manodopera, ad esempio il Sud America.

Così, se qualche anno fa produrre in Cina era conveniente, perché le imprese risparmiavano il 50-60 per cento rispetto a lasciare la produzione in Italia, adesso risparmiano al massimo il 20 per cento. Dopo decenni di delocalizzazioni, si afferma così il reshoring, cioè al ritorno della produzione nel paese d'origine. Da un mercato global si passa ad uno glocal, dove le filiere sono di prossimità, ma il vantaggio della globalizzazione, e quindi di un mercato aperto, non è ancora perso. "C’è meno Asia nelle aziende italiane che stanno ripensando alle catene globali del valore. Molte imprese – ha detto il capo economista di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice, durante un incontro con gli imprenditori toscani che si è svolto a Firenze qualche giorno fa - stanno cercando di privilegiare le filiere di prossimità. Quindi meno Asia e più fornitori delle filiere limitrofe, al massimo in Europa".

Il Covid prima, poi la guerra, quindi i rincari energetici, con il conseguente rialzo costo dei noli marittimi, la decelerazione della produzione anche in Cina, le lunghe attese per prodotti che non arrivano, il costo della manodopera più alto sono tutti elementi che stanno contribuendo a trasformare il global in glocal. Sarà un fenomeno temporaneo? "Sicuramente quello del reshoring è un tema aperto - risponde Leonardo Bassilichi, vice presidente di Unioncamere – ed è un fenomeno che nel manifatturiero è partito durante il Covid, Credo, però, che il momento sia troppo fluido per fare qualsiasi scelta. Nessuno pensa che il problema dell'energia sia strutturale e quindi un imprenditore, prima di spostare la produzione, per esempio in Vietnam, dove l'energia costa meno di tutti gli altri Paesi, ci rifletterà sicuramente molto e probabilmente in questa fase non lo farà".

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