Mercoledì 24 Aprile 2024

Auto, effetto transizione ecologica: a rischio il 35% dei posti di lavoro in Europa

Secondo i sindacati, in Italia il passaggio all'elettrico mette a rischio 120mila lavoratori su 250mila, soprattutto nella componentistica

Operai al lavoro in una fabbrica di componentistica auto

Operai al lavoro in una fabbrica di componentistica auto

Non sono passate nemmeno tre settimane da quando, in sede europea, è stato raggiunto l’accordo per vietare la vendita delle auto con motore a scoppio che i sindacati si sono messi sul piede di guerra. Il timore è che il passaggio all’elettrico, previsto per il 2035, comporti costi sociali ed economici pesantissimi per tutto il Vecchio continente, ancora indietro sull’adozione delle tecnologie necessarie.

L’industria dell’auto rappresenta 2,6 milioni di posti di lavoro, che arrivano a 13 se si considera anche l’indotto. E il pacchetto di norme Fit For 55, che impone di bloccare la produzione dei motori endotermici, ne mette a rischio il 35%. Sono queste le cifre diffuse durante la due giorni straordinaria, che si conclude oggi, del comitato automotive di IndustriAll Europe, il sindacato europeo, organizzata da Fim, Fiom e Uilm, sul futuro dell’industria automobilistica. Un futuro che, soprattutto per il nostro Paese, si preannuncia minaccioso. "Con la transizione ecologica sono a rischio 120mila posti di lavoro», ha sottolineato il segretario della Uilm, Rocco Palombella. Il settore dell’auto conta 250mila lavoratori, dei quali 168mila impiegati nel segmento della componentistica, una filiera che, vista la minore complessità dei motori elettrici rispetto a quelli tradizionali, rischia di venire spazzata via nei prossimi anni. «L'Italia è uno dei Paesi più impattati da questa transizione", ha detto il leader Fim, Roberto Benaglia, che, insieme alla Fiom e alla Uilm, auspica un rafforzamento del tavolo per l’automotive "in modo da permettere una "orte riconversione del settore". Ma soprattutto, partendo dallo slogan, lanciato dai sindacati, “nessuna transizione si fa senza di noi”, "consentire la migliore tutela occupazionale degli oltre 70mila lavoratori diretti coinvolti che rischiano di perdere il posto".

Questo mentre il segretario Fiom, Michele De Palma, chiede al governo l’istituzione di una "task force interministeriale" per rilanciare l'industria dell’automotive. "L'Italia oggi è il Paese che paga più di altri la transizione perché in questi anni non ci sono state politiche industriali" ha spiegato il leader sindacale, "è ora di cambiare". Per questo, ha aggiunto, "serve un piano strategico e straordinario finanziato dall'Europa che poi abbia una declinazione nazionale" con il quale stanziare le risorse necessarie al raggiungimento degli obiettivi ambientali, "impegnando le imprese a investire su innovazione e creazione di nuovi posti di lavoro". Per il segretario Uilm, Palombella, il tema della transizione ecologica va affrontato con una "strategia di azione comune", attraverso accordi sovranazionali. Tutto questo per arginare al concorrenza sleale da parte di Paesi, come la Cina e l’India, che hanno scadenze molto più dilazionate per raggiungere la neutralità climatica (per Pechino fissata al 2060). Anche perché l’Europa la sua parte l’ha già fatta. "La quantità di Co2 prodotta nel mondo" ha spiegato il leader Uilm, "è di 37 miliardi di tonnellate, di cui l'8% viene prodotto dai 27 Paesi dell'Unione europea, l'1% dall'Italia e il 50% del totale da Cina, Usa e India".