Sigarette, fumo (foto di archivio, Ansa)

Ci sono sempre meno ragioni per accendersi una sigaretta. Prima di tutto, e questo è l’aspetto che dovrebbe essere davvero dirimente, a causa dei seri rischi sulla salute, propria e degli altri. Ma non c’è solo questo, perché col passare degli anni, oltre che ai polmoni, fumare nuoce sempre più gravemente anche al portafoglio. E lo sarà a maggior ragione a partire dal gennaio del 2023, quando un nuovo aumento delle accise dovrebbe arrivare a incidere di circa 15-20 centesimi sui prezzi del singolo pacchetto. E’ ancora presto per disporre di dati certi, ma l’ordine di grandezza pare essere questo. Con solo un paio di certezze: l’aumento non sarà l’ultimo e tanto meno non è stato il primo.  La storia degli aumenti Troppo tempo e troppe cose sono cambiate dagli anni Cinquanta, quando Alberto Sordi con 100 lire pregustava di acquistare ‘dieci Nazionali’, ma per rendersi conto dell’ordine di grandezza degli aumenti basta tornare indietro di molto meno tempo: nel 2002, due decenni fa, un pacchetto costava circa 6.000 lire, l’equivalente di 3 euro attuali e cioè più o meno la metà di quello che si paga oggi, fermo restando il fatto che la fascia di prezzo del prodotto è estremante varia, come testimoniano le interminabili pagine dei tariffari legate ai vari tipi di tabacco in vendita in Italia. Come ci si è arrivati? Con un ritocco dopo l’altro, a volte repentino, altre meno marcato. Dunque ecco che nel 2005 eravamo a tre euro e mezzo, per scollinare i 4 appena un paio d’anni dopo e arrivare intorno ai 5 nel 2012. Triplo ritocco Sostituendo un calendario dopo l’altro arriviamo a oggi e alla bozza del Governo che prevede un triplo ritocco: l’accisa dovrà infatti essere di 36 euro ogni mille sigarette nel 2023, di 36,5 nel 2024 e infine di 37 nel 2025. Ragionando sul triennio è ancora più prematuro fornire dati certi, ma l’aumento complessivo dovrebbe attestarsi sui 45-50 centesimi a pacchetto. “Troppo poco” è la valutazione espressa per esempio dalla Fondazione Umberto Veronesi che chiede interventi più incisivi per disincentivare il fumo; decisamente troppo per chi invece non vuole rinunciare a mettere mano all’accendino. Tassazioni diverse Una parentesi a parte la merita la altrettanto complessa differenziazione sulla tassazione legata per esempio al tabacco riscaldato o alle sigarette elettroniche. Potrebbe dunque aprirsi un problema legato alla concorrenza? Le risposte non tarderanno ad arrivare. Cosa succede all’estero Nel frattempo è lecito chiedersi se aumentare i prezzi rappresenti davvero una valida soluzione per far calare i consumi. L’Olanda la vede decisamente in questo modo, dato che nei mesi scorsi ha annunciato l’intento di portare il prezzo di un pacchetto – che oggi costa circa 8 euro -, a 40 entro il 2040. Oggi il 20% della popolazione dei Paesi Bassi fuma: l’intento è quello di scendere al 7%. Le differenze sono comunque molto marcate da Paese a Paese: nell’Est Europa in generale si trovano i prezzi più bassi (prima dello scoppio della guerra in Ucraina, un pacchetto venduto in Bielorossia o Moldavia costava circa un euro), mentre sul alto opposto c’è per esempio la Gran Bretagna, dove per lo stesso acquisto servono una decina di euro. Un po’ meno (7-8 euro) in Germania e Francia.

Economia

Ci sono sempre meno ragioni per accendersi una sigaretta. Prima di tutto, e questo è l’aspetto che dovrebbe essere davvero dirimente, a causa dei seri rischi sulla salute, propria e degli altri. Ma non c’è solo questo, perché col passare degli anni, oltre che ai polmoni, fumare nuoce sempre più gravemente anche al portafoglio. E lo sarà a maggior ragione a partire dal gennaio del 2023, quando un nuovo aumento delle accise dovrebbe arrivare a incidere di circa 15-20 centesimi sui prezzi del singolo pacchetto. E’ ancora presto per disporre di dati certi, ma l’ordine di grandezza pare essere questo. Con solo un paio di certezze: l’aumento non sarà l’ultimo e tanto meno non è stato il primo. 
<img alt="Sigarette, fumo (foto di archivio, Ansa)" data-img="/polopoly_fs/1.8349642!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/wide_680/image.jpg" data-img-alt="Sigarette, fumo (foto di archivio, Ansa)" data-img-thumb="/polopoly_fs/1.8349642!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/wide_325/image.jpg" data-polopoly-id="1.8349642" data-shortcode="true" data-type="image" polopoly:contentfilepath="/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/wide_325/image.jpg" polopoly:contentid="1.8349642" src="https://cdn.quotidiano.net/polopoly_fs/1.8349642!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/wide_325/image.jpg" title="Sigarette, fumo (foto di archivio, Ansa)"> 
<h2 class="title-paragraph">La storia degli aumenti</h2> 
Troppo tempo e troppe cose sono cambiate dagli anni Cinquanta, quando Alberto Sordi con 100 lire pregustava di acquistare ‘dieci Nazionali’, ma per rendersi conto dell’ordine di grandezza degli aumenti basta tornare indietro di molto meno tempo: nel 2002, due decenni fa, un pacchetto costava circa 6.000 lire, l’equivalente di 3 euro attuali e cioè più o meno la metà di quello che si paga oggi, fermo restando il fatto che la fascia di prezzo del prodotto è estremante varia, come testimoniano le interminabili pagine dei tariffari legate ai vari tipi di tabacco in vendita in Italia. Come ci si è arrivati? Con un ritocco dopo l’altro, a volte repentino, altre meno marcato. Dunque ecco che nel 2005 eravamo a tre euro e mezzo, per scollinare i 4 appena un paio d’anni dopo e arrivare intorno ai 5 nel 2012. 
<h2 class="title-paragraph">Triplo ritocco</h2> 
Sostituendo un calendario dopo l’altro arriviamo a oggi e alla bozza del Governo che prevede un triplo ritocco: l’accisa dovrà infatti essere di 36 euro ogni mille sigarette nel 2023, di 36,5 nel 2024 e infine di 37 nel 2025. Ragionando sul triennio è ancora più prematuro fornire dati certi, ma l’aumento complessivo dovrebbe attestarsi sui 45-50 centesimi a pacchetto. “Troppo poco” è la valutazione espressa per esempio dalla Fondazione Umberto Veronesi che chiede interventi più incisivi per disincentivare il fumo; decisamente troppo per chi invece non vuole rinunciare a mettere mano all’accendino. 
<h2 class="title-paragraph">Tassazioni diverse</h2> 
Una parentesi a parte la merita la altrettanto complessa differenziazione sulla tassazione legata per esempio al tabacco riscaldato o alle sigarette elettroniche. Potrebbe dunque aprirsi un problema legato alla concorrenza? Le risposte non tarderanno ad arrivare. 
<h2 class="title-paragraph">Cosa succede all’estero</h2> 
Nel frattempo è lecito chiedersi se aumentare i prezzi rappresenti davvero una valida soluzione per far calare i consumi. L’Olanda la vede decisamente in questo modo, dato che nei mesi scorsi ha annunciato l’intento di portare il prezzo di un pacchetto – che oggi costa circa 8 euro -, a 40 entro il 2040. Oggi il 20% della popolazione dei Paesi Bassi fuma: l’intento è quello di scendere al 7%. Le differenze sono comunque molto marcate da Paese a Paese: nell’Est Europa in generale si trovano i prezzi più bassi (prima dello scoppio della guerra in Ucraina, un pacchetto venduto in Bielorossia o Moldavia costava circa un euro), mentre sul alto opposto c’è per esempio la Gran Bretagna, dove per lo stesso acquisto servono una decina di euro. Un po’ meno (7-8 euro) in Germania e Francia.

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