Giovedì 25 Aprile 2024

Assolavoro lancia la sfida al governo «Contrastare l’occupazione in nero e diffondere la cultura della legalità»

ROMA

«FONDATA sul lavoro. Legale». Recita così il titolo dell’Assemblea di Assolavoro in programma oggi a Roma. Perché ripeterlo nel 2019?

«Perché vale ripeterlo ogni giorno di ogni anno – avvisa Alessandro Ramazza, presidente dell’Associazione delle Agenzie del Lavoro – La nostra Costituzione pone a fondamento del nostro Paese il lavoro, ma il lavoro o ha tutele, garanzie, giusta retribuzione, oppure non è. E’ altro, è prevaricazione, sfruttamento, con tutti i danni che ne derivano per le persone, le loro prospettive personali e sociali. E per la comunità e lo Stato, con la perdita di gettito, di competitività, di capitale umano».

Sembra, però, più un tema politico-sindacale: perché avete deciso di tenerlo al centro dell’Assemblea di Assolavoro?

«Le ragioni sono molteplici: la prima è legata all’obiettivo di contribuire, come ‘corpo intermedio’, a diffondere la cultura della legalità nel Paese in cui operiamo. A questo fine abbiamo chiesto a più riprese di equiparare il reato di caporalato a quello di mafia, ci siamo costituiti in diversi processi come parte civile contro chi ha sfruttato lavoratori, abbiamo sottoscritto uno specifico accordo con l’Ispettorato nazionale del lavoro per sviluppare insieme azioni di contrasto a tutte le forme di irregolarità lavorative».

Un messaggio netto anche a chi governa?

«Nella visione dicotomica che è di tendenza anche in ambienti istituzionali la sensazione è che si sia sbagliato ‘quadrante’. La distinzione non è tanto tra lavoro a tempo indeterminato (che comunque non garantisce che si lavorerà in quella azienda sempre: basterebbe vedere le centinaia di tavoli di crisi) e lavoro a tempo determinato. La divisione netta è tra lavoro legale, tutelato, con politiche e operatori capaci di garantire reddito continuativo e un percorso da una occupazione a un’altra, da un lato, e occupazione in nero, irregolare, sottopagata, dall’altro».

L’obiettivo individuale, però, è la «stabilità» occupazionale.

«Certo, e infatti di là da certi proclami, un lavoratore su tre dopo aver lavorato con le Agenzie accede a una occupazione stabile e – come indica l’Istat - i giovani che hanno le prime esperienze di lavoro in somministrazione hanno una percentuale più alta di accedere nei 12 mesi successivi a un contratto a tempo indeterminato anche rispetto a chi ha un contratto a termine con una azienda. Oltre alle 12mila persone assunte nei nostri uffici, sono circa 60mila i lavoratori in somministrazione a tempo indeterminato e ogni anno selezioniamo altre 50mila persone per contratti stabili delle aziende nostre clienti. Tutti elementi che sembrano essere sfuggiti al legislatore».

Si riferisce alle incongruenze del Decreto Dignità?

«Ci sono questioni di metodo e di merito. Non è opportuno e non ha mai portato bene fare riforme senza ascoltare le parti sociali. Nel merito è noto da tempo che non basta una norma ad obbligare le imprese ad assumere a tempo indeterminato. Ci possono essere, come ci sono stati, processi più veloci per la stabilizzazione per alcuni, per coloro che avevano professionalità già più spendibili, ma per molti altri si è registrato lo scivolamento da contratti tutelanti, compresa la somministrazione, verso forme che prevedono meno garanzie o nessuna garanzia, come è il lavoro irregolare e sommerso».

Ma come contrastare, dunque, il lavoro irregolare e sommerso?

«Da una parte stringendo le maglie legislative e dei controlli così da evitare che fenomeni come quello delle cooperative spurie possano continuare a sfruttare i lavoratori, fare concorrenza sleale e offrire spesso servizi di bassa qualità. Dall’altra attivando politiche attive che non lascino “soli” i lavoratori dopo che gli organi ispettivi hanno svolto bene la loro funzione. Ogni anno i lavoratori completamente in nero individuati sono circa 50mila. Vanno messi in atto misure inclusive con l’obiettivo di favorire il loro ingresso nel mercato tutelato, legale».

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