Alleanza giapponese Nasce la super auto elettrica

Toyota, Suzuki, Daihatsu, Isuzu e Hino insieme per sviluppare la tecnologia. Componentistica in crisi: nelle auto green i pezzi passano da 1400 a 200

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di Elena Comelli

Il mercato globale delle auto crolla (-20% nel 2020), ma le vendite globali di auto elettriche sono aumentate del 43% a oltre 3 milioni di veicoli, nonostante l’emergenza pandemica. I grandi gruppi automobilistici, di conseguenza, puntano tutto sull’auto elettrica, come traspare dall’annuncio di ieri, con cui Toyota ha comunicato la creazione di una joint venture con Suzuki, Daihatsu, Isuzu e Hino tutta dedicata a questa tecnologia. Nella nuova alleanza Toyota avrà il 60% e le altre (di cui Toyota già possiede delle quote) avranno il 10% ciascuna. La mossa servirà a contrastare la crescente concorrenza dei giganti della tecnologia, che scendono sul terreno delle case automobilistiche per produrre auto elettriche e a guida autonoma. E’ una battaglia globale, che sta già facendo le prime vittime anche in Italia, come si vede dalle recenti chiusure della Gkn, della Gianetti Ruote e della Timken. E la storia non finisce qui. In base a un rapporto elaborato dall’Anfia con la società di consulenza strategica tedesca Roland Berger, l’85% dei componenti del cosiddetto powertrain tradizionale sarà obsoleta nei veicoli elettrici, perché l’architettura del veicolo passerà da 1.400 a 200 componenti.

In questa trasformazione sarà coinvolto tutto il settore della componentistica, che finora ha rappresentato un fiore all’occhiello della manifattura italiana: 2200 imprese con 50 miliardi di fatturato e un saldo attivo di 5,5 miliardi secondo i dati diffusi dall’Anfia, con 164mila addetti sui 278mila impegnati nella produzione (il totale del comparto sale a 1,25 milioni se si sommano anche i servizi). È una parte considerevole del fatturato dell’intera industria dell’auto, che ammonta a 106 miliardi, l’11% del manifatturiero, il 6,2% del Pil italiano. Ma solo il 70-80% delle imprese del settore, secondo le stime più accreditate, riuscirà a star dietro alla transizione. Nel frattempo c’è tutta una filiera che si va sviluppando con tassi di crescita rapidissimi: batterie e motori elettrici sono componenti nuovi, che devono rincorrere una tecnologia in evoluzione. In Europa sono in arrivo una trentina di gigafactory di batterie, per un valore di circa 40 miliardi di euro, tra cui sei impianti Volkswagen. I due terzi degli stabilimenti europei si concentrano in Germania, Regno Unito, Norvegia e Svezia, ma anche l’Italia potrebbe avere entro pochi anni la sua prima gigafactory, nell’ex stabilimento Olivetti di Scarmagno, nel Canavese.

Il progetto è di Italvolt, la startup guidata da Lars Carlstrom, già fondatore di Britishvolt, che sta realizzando la prima gigafactory britannica a Blyth, in Northumberland. Per l’impianto italiano si parla di una capacità iniziale di 45 gigawattora, che potrebbe poi crescere a 70 gigawattora, l’equivalente a tutta la produzione europea attuale. In sostanza, si tratterebbe di una delle fabbriche di batterie al litio più grandi del mondo, con un investimento stimato in 4 miliardi di euro e circa 10.000 nuovi posti di lavoro, tra quelli diretti e indiretti. La prima fase del progetto dovrebbe essere completata entro la primavera 2024, secondo i programmi di Carlstrom, che si appoggia alla divisione Architettura di Pininfarina.

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