Sabato 21 Giugno 2025
CLAUDIA MARIN
Economia

Allarme “solitudine lavorativa“: numeri e costi di una sindrome sempre più diffusa

Il report State of the Global Workplace di Gallup ha rilevato come un dipendente su 5 si senta solo al lavoro. In Italia uno su quattro

Lavoro

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Roma, 24 maggio 2025 – I lavoratori soffrono sempre più spesso di solitudine. Secondo un’indagine ripresa anche da Nature, sono più di 8 su 10 i dipendenti di Brasile, Cina, Germania, Regno Unito e Stati Uniti che dichiarano di sentirsi soli nei luoghi di lavoro (82%). A livello globale, il report State of the Global Workplace di Gallup ha rilevato come un dipendente su 5 si senta solo al lavoro mentre, tra i lavoratori italiani, uno su 4 (25%) dichiara di provare tristezza e isolamento ogni giorno. Tra le generazioni, secondo quanto riportato anche da Fortune, sono gli appartenenti alla Gen Z a sentirsi maggiormente isolati sul luogo di lavoro (30%), rispetto al 22% registrato nelle altre fasce d'età. In Giappone uno studio condotto dai ricercatori dell'Università di Tokyo ripreso dal Japan Times ha scoperto che una persona su 10 si sente “sempre sola” al lavoro, con la percentuale che aumenta tra coloro che lavorano per molte ore. L'impatto negativo della solitudine sul lavoro si estende ben oltre il benessere individuale, mentale e fisico, influendo anche su produttività, grado di coinvolgimento dei collaboratori e prestazioni dell'organizzazione. Uno studio della Campaign to End Loneliness promosso dalla Sheffield Hallam University ha rilevato che le persone che si sentono spesso sole hanno maggiori probabilità di dichiarare una minore soddisfazione lavorativa e un minore coinvolgimento sul luogo di lavoro. Un'altra ricerca pubblicata sull’Harvard Business Review ha rilevato che i dipendenti solitari sono meno produttivi e dimostrano un minore impegno nei confronti della propria organizzazione. Un trend negativo che ha effetti devastanti anche sull’intera economia globale. Nel Regno Unito si stima ad esempio che la solitudine dei lavoratori costi agli imprenditori, in termini di calo della produttività e aumento dei tassi di assenteismo e turnover, fino a 2,5 miliardi di sterline all’anno. Negli Stati Uniti, invece, come riportato da Harvard Business Review, l'assenteismo correlato allo stress attribuito alla solitudine costa ai datori di lavoro circa 154 miliardi di dollari all'anno. La solitudine lavorativa, come da monito lanciato anche dall’OMS, nel corso degli anni è diventata sempre di più una vera e propria epidemia ma una nuova cura è a portata di mano ed arriva direttamente dall’Italia. Nel Bel Paese infatti, con l’intenzione d’invertire la rotta e far finalmente comprendere a tutti il valore inestimabile delle relazioni, nel business come nella vita quotidiana, è nato il Manifesto per far entrare la società in una nuova era, quella del “Relazionésimo”: un progetto sostenuto da un pool di esperti sociologi, psicologi ed economisti, che lavorano a stretto contatto con imprese e istituzioni. “L’identità soggettiva e delle comunità non è statica: richiede negoziazione, riconoscimento, impegno e soprattutto lo sviluppo di relazioni a tutti i livelli – chiariscono Ketty Panni e Ombretta Zulian, imprenditrici e fondatrici della Fondazione Relazionésimo, ente del Terzo settore a profitto sociale dedicato alla promozione della crescita culturale, sociale ed economica della comunità – È ormai indispensabile e improrogabile affermare la centralità della persona e delle relazioni umane in ogni scelta culturale, politica, economica, sociale e ambientale. Serve progettare non per i territori, ma con i territori; non per le imprese, ma con le imprese. In un processo autenticamente condiviso che sappia rovesciare le dinamiche tradizionali per ritrovarsi come comunità intorno alle relazioni, vero cuore del nostro esistere, motore di felicità e volano di sviluppo per produrre valore condiviso. Molti aspetti della vita moderna contribuiscono alla solitudine, inclusi fattori culturali, economici, demografici e tecnologici che esulano dalla capacità dei datori di lavoro di influenzare direttamente il clima all’interno delle organizzazioni. Tuttavia, ci sono aspetti della vita aziendale che possono essere modificati per ridurre la solitudine lavorativa e aumentare i legami umani. Aiutando i collaboratori a creare delle connessioni sociali le aziende costruiscono infatti una forza lavoro più felice, più sana e più produttiva”. Quello di Fondazione Relazionésimo è un progetto che esprime l’esigenza di armonia, equilibrio e bellezza nella complessità contemporanea. A coniare il neologismo sono state proprio Ombretta Zulian e Ketty Panni, che reinterpretano, rinnovano e, allo stesso tempo, ritornano all’essenza della parola “economia” intesa come amministrazione e cura della “casa”. Il loro impegno per riuscire ad affermare, nella società odierna, l’importanza e il valore delle relazioni umane è supportato da un comitato scientifico di primo livello composto, tra gli altri, da: Mauro Magatti, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Relazionésimo e Ordinario di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Ugo Morelli, psicologo, studioso di scienze cognitive e scrittore, insegna Scienze Cognitive applicate al DIARC - Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli; Vittorio Gallese, neuroscienziato e Professore ordinario di Psicobiologia al Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma; Daniel Antenucci, ordinario di Bioecologia e direttore del Centro di Investigazione Marina, Università di Mar del Plata, Buenos Aires; Luigino Bruni, ordinario di Economia Politica presso l’Università LUMSA di Roma e da Chiara Giaccardi, ordinaria di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La Fondazione Relazionésimo intende valorizzare e promuovere il capitale relazionale, umano e narrativo delle persone, delle imprese e delle istituzioni, attraverso il dialogo tra le generazioni. “Il dialogo quando si spezza si traduce in conflitto. Le relazioni, quando si rompono, inceppano la macchina. Lo vediamo nel mondo del lavoro e dell’impresa, dove oggi più che mai le giovani generazioni chiedono più relazione, più senso, più partecipazione oltre ad equilibri diversi tra vita lavorativa e vita personale, ma anche equilibri diversi fra strumentalità e senso – spiega il professor Magatti, sociologo e presidente del Comitato Scientifico di Relazionésimo – Apparteniamo a generazioni che hanno attraversato la fase espansiva della crescita e, oggi, si ritrovano in un mondo dominato dal caos. Altre generazioni, che in questo caos sono nate, chiedono di guardare oltre e altrove, con uno sguardo nuovo. Credo che questo transito generazionale sia fondamentale anche per l’affermarsi di un nuovo spirito del capitalismo. Un capitalismo che deve passare dall’etica della crescita all’etica della sostenibilità”. Ogni impresa vive grazie al suo capitale etico e spirituale e quest’ultimo coincide con la capacità di porre al centro l’uomo e le sue relazioni. “L’impresa è il luogo che più di ogni altro ha bisogno di virtù civili condivise e di una mediazione complessa sui temi della formazione, della compartecipazione e del lavoro – spiega il professore Luigino Bruni, economista e membro del Comitato scientifico di Relazionésimo – Solo includendo il valore della relazione in quello del lavoro possiamo riaprire un dialogo con le nuove generazioni. Generazioni che all’impresa chiedono molto di più di un contratto: chiedono visione e condivisione di valori oltre a un senso complessivo del fare e dello stare insieme. Il bene relazionale è un bene di grande valore che resta tale finché non cerchiamo di assegnargli un prezzo, di trasformarlo in merce e metterlo in vendita”.