Alitalia volta pagina Ora il decollo di Ita non va rallentato

Bruno

Villois

U uno dei maggiori rompicapo dei governi che si sono succeduti, è il destino di Alitalia. Da venerdì decollerà la nuova società, Ita, che non dovrebbe ereditare dalla fallimentare Alitalia nulla: avrà autonomo simbolo, divise e colori e una forza lavoro proporzionata ai 50 aerei in utilizzo. I sindacati, a cui fa l’occhiolino la politica, vorrebbero 7.500 addetti (Alitalia ne ha oltre 10mila), un numero spropositato per l’attuale flotta. Il disastro dell’ex fiore all’occhiello del nostro Paese, copiato da molti competitor (ma ormai mezzo secolo fa!), comincia nel primo governo Prodi. L’ex premier tenta di sbolognare l’incomodo soggetto per le casse pubbliche ad Air France. I transalpini sono anche pronti al closing, se non che una levata di scudi di tutto l’arco parlamentare si oppone e l’affare salta. Sarà così per i successivi 5 lustri. Il disastro economco-industriale arriva a superare i 10 miliardi di euro, ripianati con difficoltà dallo Stato: bilanci disastrosi, gravati da tanti fattori a partire dal costo del personale, di gran lunga superiore a quello dei competitor. Ora il film sembra ripetersi, aggravato al decollo dallo sciopero generale indetto dai sindacati.

A reggere le sorti di Ita è stato chiamato Alfredo Altavilla, manager esperto di ristrutturazioni aziendali (e già braccio destro di Marchionne), il quale giustamente vuole imporre regole ferree in termini di costi e organizzazione. Con l’obiettivo di evitare che il disastro si protragga in futuro (entro l’estate, tra l’altro, sarà trovato un partner). Questa volta tocca a Draghi accettare le pressioni dei partiti, come hanno fatto i suoi predecessori, o imporre il rigore richiesto da fatti inconfutabili. Intanto, si inizierà con i soli quattrini pubblici, come sempre.