LORENDO PEDRINI
Economia

Alitalia è fallita, ma costa ancora. Ecco quanto stanno pagando gli italiani

Gli aerei dell’ex compagnia di bandiera non decollano da oltre due anni: una crisi da 16 miliardi di euro

Un aereo Alitalia
Un aereo Alitalia

Gli aerei di Alitalia non si alzano più dalla pista da oltre due anni, ma gli italiani continuano a pagare. La crisi dell'ex vettore nazionale e il suo complesso iter di rilancio, infatti, tra ricapitalizzazioni e oneri a carico dello Stato e dei contribuenti, al 30 settembre scorso erano costati, centesimo più centesimo meno, ben 16 miliardi di euro. E il tassametro, visto anche lo stallo del dossier della cessione di Ita Airways a Lufthansa in quel di Bruxelles, non smetterà di correre. Almeno fino a quando la compagnia tedesca, in procinto di acquisire il 41% della nostra neo compagnia di bandiera tramite un aumento di capitale riservato di 325 milioni di euro, non presenterà alla Commissione Ue la notifica formale dell'accordo ad hoc sottoscritto con il Mef a giugno scorso.

Ma cosa significa che Alitalia ci è costata 16 miliardi? 

Il punto di partenza della storia, come ricostruito da il Sole 24 Ore, risale al lontano 2008, quando l'allora presidente di un Alitalia al 49,9% pubblica, Maurizio Prato, tentò di cedere la compagnia già in crisi ai franco-olandesi di Air France-Klm, con l'appoggio del governo Prodi. L'operazione, vista la volontà degli acquirenti di ricapitalizzare per un miliardo e accollarsi 2 miliardi di debiti a fronte di 2.120 esuberi, pareva vantaggiosa, ma il 'piano-Spinetta' non trovò l'appoggio del nuovo esecutivo, il Berlusconi-ter, che salito al potere affidò Alitalia alla famosa cordata tricolore dei Capitani coraggiosi, guidati da Roberto Colaninno e supportati da Intesa Sanpaolo. L'esito, quindi, fu la nota scissione di Alitalia fra una 'good company' che si tenne la flotta aerea, quella Cai che vide associarsi Emilio Riva, la famiglia Benetton, Salvatore Ligresti, il Gruppo Pirelli, Marcellino Gavio e l'allora numero uno di Confindustria Emma Marcegaglia, e una 'bad company' che, al costo pubblico di 3-4 miliardi di euro, si tenne solo i debiti.
Alla fine, poi, nel gennaio 2009 i franco-olandesi entrarono almeno in Cai, diventando soci al 25% dietro pagamento di soli 323 milioni, ma la compagnia privata non riuscì, è il caso di dirlo, a decollare. E, passando per la creazione di AlitaliaSai nel 2014 e per la dichiarazione nel 2017 dello stato di insolvenza, quel che restava di Alitalia fu commissariato dal governo Gentiloni. Chiudendo con scarso onore una storia industriale iniziata nel lontano 1946, con la fondazione della compagnia da parte della britannica Bea e dell'Iri, e risultata, a conti fatti, un vero e proprio salasso per i cittadini. Già, perché secondo un noto studio di Mediobanca, se dal 1946 al 1974 i suoi costi per la collettività erano risultati trascurabili, fra il 1974 e il 2014 erano arrivati a 7,4 miliardi, che salgono a 8,88 se attualizzati ad oggi. Cifra, questa, alla quale vanno aggiunti altri 1,1 miliardi per la cassa integrazione dei dipendenti post-insolvenza (dal 2017 al 2022).
Infine, nella somma si deve tenere conto anche del prestito governativo che fu erogato dopo il commissariamento per pagare gli stipendi e i costi fissi del parco aerei (altri 900 milioni di euro). Per arrivare all'ulteriore iniezione di 3 miliardi varata dal governo Conte durante la pandemia, nel 2020, quando nacque ufficialmente ItaAirways. Prima che, in base alle autorizzazioni della Ue, il ministero dell'Economia iniziasse a versare le tre tranche di una ennesima ricapitalizzazione, per un miliardo e 350 milioni totali, il cui iter è terminato a fine luglio scorso. Ora, secondo il piano approvato dalla Ue, Ita dovrà tirare avanti da sola fino a tutto il 2025. Ma, se proprio ce ne fosse bisogno, il Mef potrebbe riaprire a Bruxelles una nuova trattativa per fare autorizzare nuovi stanziamenti.

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