"Qualità top, difendiamo la filiera della carne bovina italiana"

LA FILIERA BOVINA rappresenta più del 4 per cento del fatturato del comparto agroalimentare italiano, per un valore di oltre 6 miliardi di euro, e vede coinvolti più di 230mila addetti in oltre 135mila aziende attive in tutte le regioni del nostro paese. Questa, in estrema sintesi, è la "fotografia" del bovino italiano emersa al simposio internazionale "Cow is Veg – Il ruolo dei ruminanti in una dieta sostenibile", organizzato il 29 settembre scorso da Assocarni, in collaborazione con Coldiretti. Un settore strategico, quindi, che però oggi, più che mai, sembra soffrire sotto il fuoco incrociato di campagne di disinformazione e politiche europee miopi. Luigi Scordamaglia, presidente di Assocarni, ha rilevato: "Parliamo di un comparto che dagli Anni Sessanta ad oggi ha visto crollare drasticamente il numero dei suoi allevamenti, registrando un calo del 91%: 60 anni fa erano 1 milione e mezzo, così come è diminuito il numero di capi allevati, con un calo del 35 per cento, passando da quasi 10 milioni di unità a poco più di 6 milioni. Oggi in Italia – ha continuato Scordamaglia - mangiamo 8,54 chili di carne bovina pro capite all’anno, sono questi infatti i consumi reali, cioè quelli valutati al netto delle parti non edibili (ossa, cartilagini e grasso)". Un valore, in altri termini, vicino alla quantità di carne che si mangiava nei primi Anni ’60 e ben lontano dai quasi 14 chili a persona del boom economico.

"E – continua il presidente di Assocarni – la crisi che stiamo vivendo, con la relativa contrazione dei consumi e l’emergere di fenomeni allarmanti come l’aumento del food social gap, dove sempre più persone devono rivedere al ribasso le proprie scelte alimentari, vedrà ancora scendere la presenza delle proteine nobili della carne nei carrelli della spesa degli italiani, con effetti preoccupanti sulla dieta delle famiglie". Scordamaglia poi non ha mancato di evidenziare la grande sfida del settore a livello europeo. "Le politiche che arrivano da Bruxelles – ha detto – sembrano voler andare inesorabilmente verso lo smantellamento della produzione delle nostre eccellenze, e dell’allevamento in primis, con rischi non solo per chi oggi lavora in quelle filiere, ma anche in termini di sicurezza alimentare, condannando l’Italia alla dipendenza da paesi terzi che producono con standard meno elevati dei nostri anche dal punto di vista ambientale".

Sulla qualità delle produzioni zootecniche italiane è intervenuto il presidente di Coldiretti Ettore Prandini: "La carne italiana – ha spiegato – nasce da un sistema di allevamento che per sicurezza, sostenibilità e qualità non ha eguali al mondo, consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori, con l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne. Le potenzialità di miglioramento sono alla portata della nostra zootecnia, puntando fin d’ora sulla gestione dei residui e sulla produzione di energia rinnovabile attraverso il biogas e il biometano".

Durante il convegno sono stati discussi anche gli impatti ambientali della filiera bovina sui quali si fa ancora troppa confusione. "Il settore dell’allevamento bovino in Italia – ha commentato Giuseppe Pulina, Ordinario di Etica e sostenibilità delle produzioni animali all’Università di Sassari – è già net zero per quel che riguarda i gas climalteranti", evidenziando così che l’Italia si conferma fra Paesi i più virtuosi al mondo in termini di bilancio delle emissioni degli allevamenti bovini. "Dobbiamo – ha proseguito Pulina – cominciare a guardare a questa filiera come parte integrante di un’economia circolare, in un’ottica di bilancio di emissioni. Questo significa che oltre a considerare la riduzione degli impatti (secondo ISPRA le emissioni dell’allevamento pesano il 5% del totale, calate di oltre 14 punti percentuali in 30 anni e del 10% solo negli ultimi 10) – va aggiunto l’aumento di sequestro di carbonio compiuto dalle aree nelle quali si pratica l’allevamento. Addirittura con le nuove metriche (GWP, global warning potential), il saldo dell’allevamento bovino è in negativo: il settore, cioè, ha contribuito maggiormente al sequestro che all’emissione. Un risultato reso possibile anche grazie allo sviluppo di un approccio innovativo secondo cui la sostenibilità del comparto zootecnico si ottiene incrementando la conoscenza, il knowledge intensive, che passa anche dall’impiego di tecnologie all’avanguardia che rendono il sistema sempre più efficiente, tutelando animali e ambiente.

Un dato su tutti: il nostro Paese non è mai stato così verde dal secondo dopoguerra ad oggi, passando da 5 milioni e mezzo di ettari forestali a 11". E ha concluso Pulina: "Ecco perché pensare di imporre arbitrariamente e senza studi accurati, politiche per ridurre i capi di bestiame degli allevamenti bovini in Italia non solo sarebbe nocivo dal punto di vista economico e sociale, ma come dimostrano questi dati recenti, anche controproducente dal punto di vista ambientale". Da Bruxelles l’on. Salvatore De Meo, eurodeputato componente della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale AGRI, intervenuto nel dibattito ha dichiarato: "Negli ultimi anni si è fatto strada, anche a livello comunitario, un ambientalismo troppo ideologico che non ha niente a che vedere con la vera protezione dell’ambiente e la relativa transizione, ma che strumentalizza le preoccupazioni dei cittadini per attaccare apertamente determinati prodotti e tradizioni alimentari europee".