Mercoledì 24 Aprile 2024

Cereali, tornare a produrre contro il rialzo dei prezzi

Il Presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti

Il Presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti

È VERO che nel 2021 il nostro export agroalimentare ha fatto il record storico di 52 miliardi di euro (+11% sul 2020), però a concorrere al risultato sono soprattutto le esportazioni dell’industria alimentare (+11,6%) cioè pasta, olio, prosciutti, salumi, formaggi, olio, vino. Se si considera solo la componente agricola (cereali, semi oleosi, carne, latte ecc) ) le cifre dicono che il valore di 7,8 miliardi euro è cresciuto rispetto al 2021 (+8,8%) ma è meno della metà dell’import (16,3 miliardi euro, fonte Ismea). Quindi sulle materie prime agricole il deficit si è aggravato negli ultimi anni: è passato da 7,8 miliardi euro del 2019 agli 8,4 miliardi euro del 2021. La sintesi è che il nostro export è trainato dal food mentre il Paese resta deficitario sul fronte delle materie prime. Un deficit particolarmente grave nel momento attuale in cui, tra guerra e rialzo dei costi delle materie prime a livello internazionale (iniziato prima della guerra), l’autosufficienza è diventata un fattore strategico per il Paese.

La guerra in Ucraina ha creato un corto circuito: da un lato parte della popolazione mondiale è a rischio fame (Nord e Centro Africa) dall’altro si deve rispondere alle richieste dei mercati più evoluti. E sul fronte del mercato interno non si può scaricare in toto l’aumento dei costi di produzione sui generi di prima necessità (pane, latte, pasta ecc). Come se ne esce? "Quarant’anni fa in Europa c’era il problema di eccedenze produttive da smaltire – ragiona il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti –. Oggi, complici politiche poco lungimiranti, ci troviamo con una situazione opposta. Teoricamente, per rispondere al problema attuale di autosufficienza alimentare, avremmo bisogno di oltre 3 milioni di ettari in più da coltivare soltanto in Italia". Tre milioni di ettari che non ci sono. "C’è una questione importante da affrontare, che è quella di avere una food policy che ora non esiste – insiste Giansanti –. Oggi molte filiere sono a rischio: pensiamo alla zootecnia, che risente in modo pesante della situazione internazionale che si ripercuote anche sul consumatore finale, con i rincari sul carrello della spesa. Dobbiamo creare, attraverso politiche mirate, un modello in cui maggiore produzione si coniughi con etica e sostenibilità, preservando le risorse naturali".

Si pensi al settore strategico dei cereali. La produzione cerealicola in Italia è in calo costante dai primi anni 2000, con una riduzione di superficie agricola del 27%, che ha sottratto 1 milione e 121 mila ettari, di cui 473 mila nelle sole regioni del Mezzogiorno. Dal 2000 al 2020 la maggiore perdita è associata al mais, per il quale si registra una contrazione di circa 33 milioni di quintali (-33%), l’86% dei quali a carico delle regioni del Nord. E nel 2021 i primi dati Istat evidenziano rispetto al 2020 un calo della superficie cerealicola nazionale dell’8,6% e della produzione dell’11.2%. (fonte Ismea). Da qui l’esplosione dell’import di grano tenero, duro e mais. L’Europa deve tornare, e in fretta, a produrre cereali, semi oleosi, colture proteiche per frenare la corsa al rialzo dei prezzi e non dipendere più dall’import. La richiesta è stata avanzata a Bruxelles (nella foto a destra, il commissario europeo all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski) dalla maggioranza degli Stati membri, ora tocca alla Commissione muoversi. Le richieste vanno dal rinvio dell’entrata in vigore delle nuove regole sulla rotazione delle colture prevista, a partire dal 1 gennaio 2023, nell’ambito della riforma PAC alla deroga alla messa a riposo dei terreni per aumentare di circa 4 milioni gli ettari disponibili per le semine negli Stati membri.