Agribologna guarda al futuro dopo il virus "Puntiamo su territorio e comunicazione"

Parla il presidente della cooperativa Lauro Guidi

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"La sfida per gli agricoltori sarà riorganizzare la produzione in sicurezza, puntando sul territorio e su una corretta comunicazione". A raccoglierla è Lauro Guidi, presidente del Gruppo Agribologna, che ha iniziato la fase 2 dell’emergenza Coronavirus con l’ottimismo necessario a ripartire. La cooperativa è attiva nella produzione, lavorazione e distribuzione dell’ortofrutta fresca, con base sociale composta da 130 aziende agricole e una disponibilità fondiaria di 3.500 ettari, 240 dipendenti e 2.500 clienti.

Presidente, in che modo la pandemia sta influendo sul settore agricolo?

"In questo periodo la gente è corsa a comprare i cosiddetti beni rifugio, penalizzando i prodotti freschissimi o voluttuari: la IV gamma (insalate pronte in busta, frutta tagliata in vaschetta) ha perso dai 7 ai 12 punti percentuali di vendita, così come frutta e verdura utilizzate nella ristorazione (piccoli frutti, rucola, piante aromatiche), ma per la maggior parte dei prodotti non ci sono stati squilibri, anzi le vendite sono aumentate".

Si è però registrato anche un forte aumento dei prezzi di alcuni prodotti.

"Non si tratta di speculazioni, ma di un movimento a rialzo dovuto al fatto che diverse produzioni stavano terminando il loro ciclo nel momento in cui è scattato il lockdown".

E ora si aggiunge il problema della penuria di manodopera nei campi.

"Molti lavoratori stranieri, che durante l’inverno tornano a casa per qualche mese, quest’anno non sono potuti rientrare a causa del virus. L’ipotesi di regolarizzare cittadini stranieri è percorribile in quanto si traccerebbero persone presenti sul territorio nazionale ma non censite. Si tratta tuttavia di persone ancora da formare: abbiamo bisogno di manodopera formata e intenzionata ad affrontare il duro lavoro agricolo".

Quali sono oggi le sfide e le opportunità per un consorzio come il vostro?

"Il rischio è legato alla domanda, che potrebbe crollare per effetto di una riduzione del reddito disponibile. Se invece gli strumenti che stanno mettendo in campo lo Stato e l’Europa per sostenere il reddito genereranno l’effetto sperato, allora si potrebbe registrare solo un piccolo calo della domanda, che probabilmente influirà poco sul comparto alimentare, fatta eccezione per ristoranti, bar, mense. Contestualmente, penso che vedremo un processo di rilocalizzazione: a causa della pandemia, i Paesi si sono resi conto che la dipendenza da altri Stati per beni di prima necessità espone a rischi enormi nella catena di approvvigionamento".

Attraverso quali processi questo ritorno al locale può concretizzarsi?

"I cittadini preferiranno acquistare prodotti locali, si sentiranno più sicuri conoscendo il territorio di provenienza. Dobbiamo essere bravi ad anticipare i tempi in un progetto che coinvolga produttori, cooperative e distributori, migliorando l’offerta, aumentando la disponibilità, riducendo la dipendenza da altre zone e comunicando correttamente. Noi promuoviamo il valore del territorio, la tutela di sostenibilità e ambiente, dei produttori e della circolarità economica, ma sarà necessaria anche una nuova modalità di comunicazione istituzionale che valorizzi i prodotti, i territori e i produttori".

È in corso anche un cambiamento nella percezione dei cittadini rispetto ai beni di prima necessità.

"Stanno passando in primo piano i fabbisogni di beni vitali. Finito il lockdown, dovremo iniziare a dare il giusto valore al bene alimentare con un’equa remunerazione del produttore, rivedere il modello di ripartizione della ricchezza, armonizzando i sistemi fiscali a livello internazionale. Con i modelli economici fino ad oggi applicati chi gestisce la produzione è remunerato sempre troppo poco".

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