Addio alla concorrenza sleale Boom dei prezzi del riso italiano Più produzione e meno import

Lorenzo Frassoldati

ROMA

L’ITALIA, primo paese produttore di riso in Europa – circa 230.000 ettari seminati, oltre cento varietà coltivate e una produzione nazionale stabilmente superiore a un milione di tonnellate, il 50% dell’intera produzione Ue – si attende benefici effetti dalla storica decisione dell’Europa, scattata il 18 gennaio 2019, di mettere la parola fine all’import di riso a dazio zero dai Paesi del Sud-Est asiatico. La misura, fortemente sollecitata dal mondo produttivo italiano, avrà una durata di tre anni prorogabile, con dazi pari a 175 euro la tonnellata nel primo anno, 150 nel secondo e 125 nel terzo.

IL RISO dagli occhi a mandorla era stato colpito dalla clausola di salvaguardia perché, entrando in Europa a prezzi troppo bassi, aveva creato per anni un regime di concorrenza sleale ai danni delle nostre produzioni. Intanto si discute anche sui reali benefici sull’aumento delle quotazioni del riso per effetto delle norme nazionali sulla etichettatura d’origine entrata in vigore nel febbraio 2018. Coldiretti sostiene che le quotazioni sono aumentate fino al 75% «dopo essere scese su valori insostenibili per i produttori». Le cifre di fonte Coldiretti parlano di un aumento in 12 mesi del 70% per la varietà Arborio, che ha raggiunto i 520 euro a tonnellata. Variazioni positive anche per tutti gli altri risi made in Italy: dal Roma +54% al Sant’Andrea +49%, dal Carnaroli + 55% al Vialone Nano +32% fino al Lungo B +20%. Di parere diverso CIA-Agricoltori Italiani secondo cui «per arrivare a un significativo aumento del prezzo del riso è necessaria l’introduzione di certificazioni Dop e Igp».

INSOMMA non basta l’etichettatura generica, «che sembrerebbe aver avuto un impatto poco rilevante sul mercato nazionale». In attesa degli effetti della clausola di salvaguardia sull’importazione del riso dai Paesi del Sud-Est asiatico, dice Cia-Agricoltori Italiani, «occorre puntare sulle certificazioni Dop e Igp, in modo da premiare la qualità delle produzioni e legare sempre più il prodotto al territorio». Resta comunque il fatto che sul fronte del commercio con l’estero, nel 2018 il continuo aumento dell’import di riso dall’estero si è arrestato. Nel complesso, l’import di prodotti risicoli ha accusato un calo del 19,3% in volume (da 223mila a 180mila tonnellate) e del 10,5% in valore (da 147 a 132 milioni di euro). Un esempio di forte legame col territorio viene dal Riso del Delta del Po Igp, una delle tre denominazioni geografiche riconosciute in Italia, assieme al Vialone nano veronese Igp e al Riso di Baraggia biellese e vercellese Dop. Tra le province di Ferrara e Rovigo si coltiva da sempre uno dei risi più pregiati d’Italia nelle varietà Arborio, Baldo, Carnaroli e Volano, vera eccellenza gastronomica. Il Consorzio ha recentemente avviato un progetto di filiera sostenuto da finanziamenti regionali, che porterà sul territorio investimenti per 8 milioni di euro.

INTANTO in Piemonte, patria del riso, il ripristino della clausola di salvaguardia viene giudicato «un risultato importante, ma non è un traguardo, ma un punto di partenza», sostiene Giovanni Perinotti, presidente Federazione nazionale riso di Confagricoltura. «Già da oggi, con i dazi attivi per tre anni (in modo decrescente), è indispensabile darsi da fare per costruire la filiera e renderla competitiva – afferma la presidente di Confagricoltura Novara, Paola Battioli – Il mondo agricolo deve essere più compatto e fare maggiore sistema nelle trattative con l’industria risiera. Insieme dobbiamo cercare di valorizzare al massimo il riso italiano, garantendo sempre alta qualità e tracciabilità del prodotto».

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