{{IMG_SX}}Napoli, 11 febbraio 2008 - "Aniello, scendi, c'ho quella roba per te". Tutto inizia così, con uno squillo al citofono e una sventagliata di mitra esplosa dietro l'astuzia di una buona partita di gioeilli da piazzare. Aniello La Monica ha poco più di quarant'anni quando viene ammazzato all'uscita di casa. È il boss di Secondigliano, fa parte della Nuova Famiglia, il cartello che si oppone all'esercito di Raffaele Cutolo. Ma non è il 'professore' di Ottaviano a volerlo al camposanto. La Monica è la prima vittima di un nuovo, astuto e spietato gruppo criminale che di lì a poco sarebbe salito ai vertici della camorra: il clan di Paolo di Lauro. La Monica era caduto vittima di quelli che considerava i suoi figli, perchè anche un camorrista si deve fidare di qualcuno. Ma si era fidato delle persone sbagliate.

 

A raccontare le vicende e gli intrighi del clan di via Cupa dell'Arco, a Secondigliano, è il libro 'L'impero della camorra. Vita violenta del boss Paolo Di Lauro', di cui è autore il giornalista Simone Di Meo (Newton Compton, Roma, pp. 283, euro 9,90). Un romanzo avvincente sulla Napoli degli anni Ottanta e su 'Ciruzzo o' Milionario', che venti anni dopo lo Stato inserirà nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi di tutta Italia. Intanto Paolo Di Lauro, protetto dal silenzio che si scava intorno, racimola tutto, accumulando grazie al traffico di droga un impero economico immenso con cui compra fabbriche, casinò e centri commerciali sparsi ovunque. Un impero di paura, sangue e denaro sporco su cui 'il vero re della camorra' regna incontrastato.

 

Le pagine di Di Meo scorrono che è un piacere e ripercorrono tutta l'escalation criminale di un uomo che non era il 'solito' boss con catene d'oro al collo e viso in piazza a fare 'piazzate'. Paolo Di Lauro conosceva il valore del silenzio e ripagava la fedeltà dei suoi uomini. Stava rintanato per mesi in casa ed evitava le guerre tra clan. "Perchè con la fortuna - così pensava il padrino - ci puoi fare l'amore una sola volta nella vita". E allora meglio tenersi lontano dai guai, fare di tutto per non attirare sugli affari le mani della polizia e gli occhi degli invidiosi: "Era questo - scrive Di Meo - il suo pregio: non suscitare l'invidia degli altri".

 

A Secondigliano, una volta superato l'Arco, ci si inoltrava nella 'cittadellà presidiata di giorno e di note dai 'pretoriani della camorra'. Il vecchio arco di un condominio di inizio Novecento è il rione bunker del boss più tattico di ogni tempo, "del saggio che voleva vivere in penombra, per meglio gestire il suo imperi nascosto". Perchè, rimarca Di Meo, "da solo Ciruzzo o' milionario ha fatto tutto. Senza che nessuno lo aiutasse, senza che nè la linea dinastica nè la fortuna gli portassero in dote una piccola eredità". Sapeva quando parlare e soprattutto quando stare zitto. Sapeva, come dice un pentito in queste pagine, che "chi conquista Secondigliano conquista Napoli. È stato e sarà sempre così. Di Lauro l'ha conquistata con i soldi, e l'ha tenuta per vent'anni". Lui dispensava soldi a tutti, appianava gli appettiti dei clan rivali con sacchi pieni di contanti.


Ma Paolo Di Lauro amava anche gli scherzi. Come Ferdinando di Borbone a volte rompeva il suo isolamento e poichè erano in pochissimi a conoscerlo, ogni tanto amava fare il garzone di macelleria e consegnare la busta della spesa alle signore. Poi, una volta che le poverette erano uscite dal negozio, un luogotenente del boss raggiungeva le donne per strada e bisbigliava loro all'orecchio: 'Ma che fate, non salutate??'. Allora le massaie sbiancavano e si precipavano nel negozio a baciare le mani al 'garzone' che, ritraendosi, sorrideva e sganciava un paio di banconote da centomila lire. Era il boss dei boss, Paolo Di Lauro.

 

E mentre i Licciardi avevano fatto affiggere l'elenco dei 'morti viventi' al portone della chiesa dela Resurrezione, a Secondigliano, lui mediava sempre. Non voleva rogne. Era e voleva essere un 'imprenditore', un broker del narcotraffico. Rifiutava vendette e agguati. Stav agiocando la sua partita con lo Stato e meno miele metteva fuori mene mosche avrebbe attirato.


Parlava poco, ma ogni tanto regalava pillole di saggezza ai suoi pochi amici. Come quando, intervendo in una discussione tra un padre e un figlio troppo sprecone con le ragazze, il padrino tagliò corto: "Guagliò, le uniche zoccole che ti devono mangiare sono quelle del camposanto quando, tra cent'anni, schiatti". Giocava d'azzardo, Paolo Di Lauro.


L'unica sua passione erano le moto. Per il resto era imprevedibile, ogni tanto spariva per mesi, poi tornava e metteva al mondo altri figli. Al telefono, per evitare che venisse intercettato, si faceva chiamare 'Zio Michele', e non parlava per più di due minuti. Alla roulette del crimine aveva vinto con i suoi metodi da imperatore romano che conquista e affida i territori soggiogati alle popolazioni sconfitte.

 

Odiava le armi, ma il suo 'esercito' era il più pericoloso da quando, giovanissimo, aveva fatto l'accordo di ferro con i Nuvoletta. Scampia e Secondigliano erano i più grandi supermarket di droga all'aperto di tutta Europa. Ognuno aveva la propria piazza e poteva trafficare liberamente. "Se l'ordinanza di custodia cautelare in carcere per il boss di via Cupa dell'Arco fosse un libro - scrive Di Meo - assomiglierebbe tanto a un libro di fatantasmi, di quelli che popolavano i castelli della Scozia dell'Ottocento".


I pentiti parlano di lui per sentito dire, perchè non lo hanno mai visto in faccia. Ma la magistratura stava per scoprire cosa si nascondeva davvero tra i marciapiedi e i muri scrostati del Terzo Mondo, ciò che il pentito Luigi Giuliano avrebbe chiamato "il potere selvaggio di Secondigliano". Inizia una guerra senza esclusione di colpi che oppone la vera criminalità organizzata a un manipolo di poliziotti coraggiosi, che si fanno strada tra omertà e connivenze raccontate in questo libro avvincente come un romanzo e inquietante come la verità. Il braccio della legge può essere lento, a volte. Ma arriva sempre. Come la giustizia. Intanto, tra le Case Celesti e la polvere bianca che porta la morte, tamburi di guerra inizano a echeggiare in lontananza. È nato il cartello degli scissionisti. Un'altra storia di sangue e camorra.