Venerdì 19 Aprile 2024

Noi, Pfm, dal Lambro a Central Park

Dal Festival d’Avanguardia e di Nuove Tendenze di Viareggio al tour con tappa al Central Park

La Pfm

La Pfm

In Italia, negli anni Settanta, i festival arrivarono sulla scia di quelli americani e l’idea di creare uno spazio in cui riunire le diverse espressioni della cultura di quei tempi ebbe successo tanto tra il pubblico che tra i musicisti, confinati fino a quel momento nei club. Ricordo innanzitutto il Festival d’Avanguardia e di Nuove Tendenze di Viareggio, contest a cui la Pfm partecipò assieme ad altri protagonisti di allora come Osanna, Rovescio della Medaglia, Delirium, New Trolls, Formula Tre. Vincemmo noi, assieme alla Mia Martini di Padre davvero . Poi vennero eventi come quelli al Parco Lambro, dove c’era musica tutto il giorno, ma anche momenti d’incontro e di confronto con le realtà più diverse, dagli Hare Krishna al Fuori.

A legare fra loro queste nuove energie c’era il tam tam le radio libere «veramente», come cantava Finardi. Emittenti dalla grande vitalità, capaci di offrire una divulgazione musicale che fino a quel momento sulle reti nazionali, salvo casi specifici molto circostanziati come “Rai StereoNotte”, non c’era. La loro forza era quella di aprirti il microfono e lasciarti libero di raccontare tutto quello che c’era dietro a un tuo disco. Alla BBC di Londra scoprimmo poi la forza dei concerti dal vivo in radio; negli studi, infatti, c’era una strumentazione di tale qualità che i pezzi venivano addirittura meglio di come li avevamo incisi. Questo, anche se il cuore della musica rimanevano i concerti. Proprio il giorno dopo la nostra partecipazione al Festival di Parco Lambro del ‘74 partimmo per gli Stati Uniti. Ci aspettava, infatti, il tour con tappa al Central Park in cui avremmo registrato Live in Usa . Fu proprio in quell’occasione che nel Nord Carolina prendemmo parte, con Allman Brothers Band, Emerson Lake & Palmer ed altri, all’August Jam di Charlotte. L’area del Motor Speedway era invasa da oltre 200mila spettatori e, nell’impossibilità di farlo via terra, raggiungemmo il palco in elicottero. Una dimostrazione di efficienza incredibile per noi che venivamo da un Lambro all’insegna del volontariato dove tutto era alternativo e molto, molto, artigianale. Con tutte le difficoltà organizzative che eravamo abituati a risolvere in Italia, i festival americani ci sembrarono una passeggiata. Ma da noi ai concerti si respirava un’altra aria. Il pubblico era molto coinvolto dalla politica e dal sociale, così le idee che giravano in certi raduni erano condivise da tutti, o quasi, trasformandoli in un momento d’identità, in uno spazio in cui ritrovarsi senza divisioni, anche se con alcune estremizzazioni come i blitz degli autoriduttori che, fedeli allo slogan «la musica è di tutti», ritenevano giusto non pagare un biglietto per ascoltarla. Una sera al Palalido di Milano, ad esempio, ci trovammo davanti un gruppo di indiani metropolitani intenzionati a irrompere in scena per imporre il loro comizio nel bel mezzo dello spettacolo, ma non ci facemmo prendere alla sprovvista attaccando a bruciapelo Celebration e scatenando la folla che iniziò a cantare e a ballare mandando in fumo il tentativo.