Giovedì 18 Aprile 2024

Lo scrittore Simi: "Quanti brividi in riva al mare"

Intervista a Simi e i suoi thriller ambientati in Versilia: "Il mistero è nei luoghi più familiari"

Lo scrittore Giampaolo Simi

Lo scrittore Giampaolo Simi

Viareggio, 21 luglio 2019 - Estate: tempo di thriller, gialli, noir. Perché? «Magari perché qualche brivido rinfresca. Battute a parte, d’estate ci sono le ferie e anche i lettori non fortissimi hanno più tempo per trovare relax nella parola scritta. Si buttano sui gialli e i gialli fanno la differenza. Non solo nelle vendite, ma anche nella voglia di capire meglio il presente». Giampaolo Simi, la Versilia è la sua patria. Molti suoi gialli sono ambientati lì. Quindi le storie le vengono naturali. «Macché. Anzi, il contrario. Non è affatto scontato che i luoghi in cui si vive siano quelli che si conoscono meglio. Ci sono misteri infiniti. Cose mai viste. Compito mio e dello scrittore è scavare, documentarsi, studiare. Devo indagare per far indagare». La sua Versilia. Spesso invernale e inquietante. «Certo, perché non c’è solo la stagione balneare fatta per i nostri ospiti. Ci siamo noi. Con le nostre paure e le nostre speranze. E i nostri segreti». C’è chi scrive di getto. O dice di farlo. Chi, invece, si costruisce le fondamenta con scalette e progetti... «No, di getto proprio no. L’istinto non basta. Voglio avere basi strutturate e solide. Così sto tranquillo, posso andare avanti senza rischiare intoppi e abbandonarmi al puro piacere di scrivere». Il romanziere è mestiere faticoso. «Per me, no. Certo, devi impegnarti in un lavoro di ricerca e sviluppare autodisciplina. Ma a me scrivere piace, mi diverto come un matto. Io sono per buttare giù due o tre pagine al giorno, sabato e domenica compresi. Ben lavorate, sia chiaro. Possono apparire poche, ma non è così». Ma si vive di scrittura o lei potrebbe mettersi a fare il bagnino come suo nonno? (ride di gusto) «Non ho più l’età, temo. Ci si può vivere, se si affiancano altre attività parallele come la scrittura per cinema e tv. A quarant’anni ho imparato un altro mestiere come lo sceneggiatore. Ho fatto una nuova gavetta. Poi in un anno solo, il 2018, la fiction Nero a metà, che ho creato e scritto insieme a Vittorio Testa e Francesco Amato, ha fatto il boom di ascolti. E il film documentario Arrivederci Saigon di Wilma Labate è andato a Venezia e ai David di Donatello». Il che non la distrae dallo scrivere romanzi. «Ovvio. Il 26 settembre esce I giorni del giudizio. Per Sellerio». Ma lei si offende se la definiamo “scrittore di gialli”? «No, affatto. Mi offendo quando sento dire “è un romanzo così bello che va oltre il giallo”. Che vuol dire? Un romanzo è bello o brutto. Lo scrittore è bravo o mediocre. Le definizioni di genere servono a mettere ordine, però il succo è se le pagine che si leggono funzionano o no». Quando preferisce scrivere? «La mattina presto e al tramonto. Poi faccio sempre un esercizio molto utile, almeno per me. A tarda sera rileggo quanto ho prodotto in giornata. Mi metto nei panni della persona che torna a casa stanca dopo una giornata di lavoro. Ecco, se non capisco bene certi passaggi li cambio e li correggo. E devo dire che il metodo funziona perché ragiono, cerco di ragionare... con la testa di chi andrà in libreria e spenderà i suoi soldi per un mio libro». Lei è un appassionato di calcio. Tifa St.Pauli, la squadra di Amburgo con una tifoseria di sinistra-sinistra. «Il calcio mi interessa, mentre da ragazzino era una passione sfrenata. Oggi mi lascia più di una perplessità. Ma tramite il calcio si capiscono comunque tante cose. Ha un linguaggio universale, è una specie di esperanto. Vede, io ho conosciuto il St. Pauli perché ho parenti in Germania. Quando vedo giocare i miei nipoti capisco che là insegnano a divertirsi, ed è per quello che poi vincono. In Italia si gioca solo per vincere, ma poi si vince pochino pochino. E abbiamo tifoserie dappertutto: in politica come all’università. Tutti atteggiamenti deteriori mutuati dal football». Esiste il giallo mediterraneo? «Eccome. In principio furono Vázquez Montalbán e Izzo, poi Markaris e Camilleri. Solo che non abbiamo codificato il brand come invece hanno fatto in Scandinavia». La Francia però è all’origine di tutto. «Sì, per i feuilleton dell’800. E poi i francesi hanno capito che fra le due guerre gli americani avevano inventato il ‘‘noir” e lo hanno fatto loro nei romanzi, nei fumetti, nel cinema della nouvelle vague». Il suo scrittore preferito? «Uno? Almeno quattro: Flannery O’ Connor, Georges Simenon, Beppe Fenoglio e Francesco Biamonti». Solo uno è un giallista. «Appunto. Uno scrittore è bravo, oppure no».