Amianto all’ex Alfa Romeo: già prescritti cinque decessi

Eppure il processo per Arese non è neanche cominciato di Monica Guerci

L'esterno del Tribunale di Milano

L'esterno del Tribunale di Milano

Arese (Milano), 23 novembre 2014 - Se ieri la sentenza Eternit è stata annullata per prescrizione, domani la stessa ingiustizia – seppure con una diversa ipotesi di reato – potrebbe accadere nel processo contro l’ex manager della Fiat Paolo Cantarella e altri sei dirigenti del colosso automobilistico rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo per la morte di 21 operai dell’Alfa Romeo di Arese che sarebbero stati esposti all’amianto negli anni Ottanta e Novanta senza le necessarie misure di sicurezza.

«Deve ancora aprirsi il dibattimento di primo grado e già si sono prescritti cinque casi di operai deceduti tra i dolori del mesotelioma pleurico – spiega l’avvocato Paolo Cassamagnaghi del Foro di Milan – Cosa dovrei andare dire alle famiglie? Sperate che gli ex dirigenti Fiat, oggi imputati, non facciano appello, altrimenti avete già perso? Perso non tanto i soldi e il tempo. Ma soprattutto perso la speranza di veder riconosciuta la giustizia per un padre che è morto per il lavoro. E persa sarebbe anche la fiducia nello Stato».

Il legale rappresenta Patrizia Scaffidi. Suo padre Nicolò morì «patendo atroci dolori fino all’ultimo istante» il 28 gennaio 2011. «L’istituto della prescrizione – prosegue Cassamagnaghi – può essere utile quando il tempo rende sterile il rapporto tra fatto di reato ed effetto dannoso con relativo ricordo del disvalore nella società. Proprio per questa ragione esistono reati imprescrittibili, si pensi ai crimini gravi che trascendono la storia e di cui nella società permane il ricordo fisso. Direi che ci sono fatti per cui non può esserci il ricordo dell’impunità. Altrimenti anche processi mai chiusi o celebrati dopo anni come quello a Priebke, di Ustica o di Piazza Fontana non avrebbero senso».

La fase dibattimentale davanti ai giudici della Nona sezione del Tribunale di Milano inizierà solo il 5 febbraio. «Il rischio è che celebrare questi processi diventi davvero inutile – insiste l’avvocato – Da penalista non posso che mettere al primo posto la garanzia delle libertà dell’imputato che assisto e pretendere un processo spedito ed efficiente, in grado di provare oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza, altrimenti dev’esserci sempre l’assoluzione. E se così non fosse, per riformare la sentenza sbagliata esistono l’Appello e la Cassazione».

Conclude però Cassamagnaghi: «Ma da cittadino, quindi anche io potenziale vittima ogni giorno, non posso accettare che davanti a fatti gravi che coinvolgono la persona umana il nostro Stato, ancora distinguendosi negativamente dagli altri, semplicemente butti via il mio fascicolo: il processo serve ad accertare responsabilità e risarcire vittime, non è un gioco a tempo».

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