Firenze, 5 maggio 2014 - Viaggia come i salmoni, controcorrente, Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze.

Favorevole o contrario alla restituzione delle opere d’arte “strappate” agli Stati Uniti?
«Che domande... Quando un capolavoro torna a casa propria non si può che esultare».
Anche se questo comporta passare dagli occhi di milioni di visitatori a quelli “di sparute scolaresche”, come ha scritto il “New York Times” riferendosi alla Venere di Morgantina?
«Innanzitutto bisogna chiedersi quanti visitatori richiamasse quel luogo prima di ospitare un tesoro restituito o ritrovato, e quanti dopo. L’aumento c’è».
Come nel caso dei Bronzi di Riace esposti, fra mille polemiche, al Nuovo Museo Archeologico di Reggio Calabria?
«Effettivamente si potrebbe gridare “allo spreco”. Invece per uno studioso come me, che al museo diffuso ci crede veramente, un’operazione come questa pare assolutamente sensata».
Perché dottor Natali?
«Credo che i luoghi intrisi di fascino e bellezza in Italia siano moltissimi: non si può concentrare tutto agli Uffizi o a Villa Borghese. È bene che tutta l’Italia goda, anche nelle parti meno visitate dai turisti, della luce dei capolavori che lì hanno avuto origine o sono stati ritrovati. Il “Kylix” di Eufronio, capolavoro dell’arte greca restituito dal Getty nel 1999, dà lustro al Museo di Villa Giulia e inorgoglisce i romani. Quindi, ben venga».
Anche se lo ammirano un minor numero di persone?
«Non si può misurare tutto con i numeri, quante sciocchezze si dicono parlando in questi termini. recentemente in una trasmissione televisiva è stato detto che gli Uffizi vengono visti da quasi 2 milioni di persone l’anno contro i 9 milioni del Louvre. Un’assurdità».
Ci spieghi...
«È possibile travasare il contenuto di una damigiana in un fiasco? Il museo parigino è grande 12 volte quello di Firenze. Sempre stando ai numeri, 2 milioni moltiplicato 12 farebbe 24 milioni di visitatori, altro che Louvre. E lo stesso dicasi per quei tesori “rapiti” e poi restituiti: li vedranno meno, certo, ma nel loro contesto originale. E questo non è poco».
Per questo lei ha ideato la Città degli Uffizi: portare temporaneamente i capolavori dalla Galleria nelle loro terre di origine?
«Certamente: arricchire anche per 2 o 3 mesi luoghi altrimenti poco visitati fa bene non solo all’arte, ma anche all’economia di quei luoghi, e alla psiche di chi ci abita. Esiste una complessità della cultura che non si può misurare con i numeri».
Che cosa serve?
«Buon senso: sarebbe come trasferire la “Madonna del Parto” di Piero della Francesca dal museo del paesino di 1800 anime in provincia di Arezzo che la custodisce, nelle sale di un grande museo. Perché? La sua bellezza è lì, per illuminare Monterchi».
Letizia Cini