di Vittorio Sgarbi

IL PARADOSSO è che nella stessa giornata si parla di Beni Culturali non per il consueto abbandono e trascuratezza e per la totale mancanza di visione dei politici nostrani, che sembrano ignorare dove vivono, ma per importanti contributi dati a due dei siti più eminenti d’Italia, inevitabilmente al centro dell’attenzione del mondo: Pompei e gli Uffizi. Mentre arrivano altri 150 milioni di euro da una Fondazione si scopre che i fondi ordinari, che mai erano stati lesinati al più importante sito archeologico italiano, sono stati spesi male o rubati. La magistratura ha verificato le inutili spese per il restauro del teatro, l’orrido risultato è la evidente mancanza di vigilanza di sovrintendenti e commissari. Lo scenario è inquietante perché non è sufficiente scaricare le responsabilità sull’ignavia dei politici, che sembrerebbe la cifra distintiva di situazioni come queste. Agli Uffizi un operaio ha messo il piede nel punto sbagliato, sull’incannicciato, sfondando il soffitto. Ma un crollo è un crollo e gli Uffizi sono gli Uffizi: così tutto il mondo ne parlerà. L’equivoco è utile per consentire di dire che sembra lunare una campagna elettorale nella quale con quasi programmatica ostinazione, nessuno, da Di Pietro a Ingroia (ovviamente), a Grillo, a Monti, a Bersani, a Berlusconi, fa alcun, anche casuale riferimento, al nostro patrimonio artistico.

SEMBRA che l’evidente valore materiale del patrimonio artistico sia inferiore a qualunque altro prodotto commerciale. Insignificante possedere la Primavera di Botticelli, la Velata di Raffaello, la Venere di Tiziano, l’Apollo e Dafne di Bernini, sui quali sarebbe necessario fondare un’economia che li vedesse come riferimenti, non diversamente dalla Ferrari o dalle creazioni dei grandi stilisti. Si tratta in ogni caso di Made in Italy.
E’ evidente che oltre all’intrinseco valore materiale, il bene culturale è prima coscienza che proprietà. Lo Stato non è quello che possiede ma la coscienza del bene, che spesso i privati mostrano di avere più dei pubblici amministratori. Altro sarebbe il destino di Pompei se fosse gestita da una fondazione americana. E nulla cambierebbe per la nostra legislazione rispetto ai principi e alle garanzie della tutela. Se la tutela infatti è spesso insufficiente (e talvolta devastante come nel caso di Pompei), e se lo spreco è la scandalosa contropartita della trascuratezza, la questione più grave è l’assenza di consapevolezza della classe dirigente e il difetto clamoroso della gestione.

Se il soffitto degli Uffizi accende questa discussione, è molto più scandaloso quello che quotidianamente la soffoca, quello che non fa notizia. Dopo aver passato due giorni in una città bellissima, Monte San Savino, ho avvertito come intollerabile che alcuni dei monumenti più eminenti in una città certamente ben amministrata, fossero letteralmente dimenticati nonostante la loro importanza assoluta. La buona volontà degli amministratori, spesso più consapevoli dei politici nazionali, non è sufficiente a «fermare il declino», che non è quello di una economia mortificata, ma di una civiltà dimenticata. Ho guardato con attenzione, insieme ad alcune persone di buona volontà, Claudio Zeni, Ilaria De Andreis, Marcella Luzzi, Anna Caselli, Claudio Paturzo, Erica Rampini, edifici mirabili come il Palazzo del Comune, le logge del Sansovino e alcune chiese ricche di opere d’arte e chiuse ed abbandonate come se non appartenessero a nessuno e a nessuno dovessero interessare.

Eppure ho trovato capolavori a San Giuseppe, a Santa Chiara, nella chiesa del Suffragio. A chi appartengono? E come si può consentire che siano tenute in condizioni indecenti? Beni e patrimoni materiali che si dissolvono. E lo Stato dov’è? I politici italiani dovrebbero essere messi sotto accusa per omissione di soccorso e vandalismo.