Fra gli incanti più preziosi della scrittura c’è la conservazione dello sguardo dell’infanzia, salvato da una proustiana memoria involontaria. E’ lo sguardo che ci restituisce il felice esordio di Viviana Viviana, ferrarese, classe 1974, che lavora come ingegnere ma coltiva la passione della scrittura essendosi già meritata dei premi letterari. Il suo primo romanzo Il canto dell’anatroccolo, nella parodia del titolo allusivo al cigno introduce il lettore a un tono sospeso fra ironico sorriso e spregiudicata  denuncia. L’autrice deve aver goduto le autobiografie del tipo di Infanzia di Nivasio Dolcemare di Alberto Savinio, evocative dello sguardo surreale e magico di chi affronta la guerra coi genitori che, già arresi al reale, si battono perché i figli li imitino. La scrittura leggera ed elegante di Viviana va subito al cuore delle cose, col tocco di chi fulmina la follia dei grandi, senza perdere mai la pietà. Ma si sa che i bambini hanno già capito tutto della vita, solo che mancano loro le parole per dirlo. Queste verranno dopo, agli ex bambini diventati adulti come Viviana.

Nella trama ben articolata del romanzo si intrecciano le storie di quattro bambini, dalle diverse e complesse origini, Arianna, Rosa, Andrea e Alvise. Arianna crea amici immaginari, gli Oprini, per sfuggire alla banalità che la circonda, ai genitori ottusi – ossessionati dalla frase che bolla un figlio maleducato, “fa sempre quello che vuole”, della cui verità assoluta è invece persuasa Arianna – trovando nella nonna Angela la complice del suo sguardo visionario.

Rosa porta sul  bellissimo corpo i segni di una malattia che le nega l’amore e il piacere, e non sa se il male nasce dal proprio inconscio o dalla vendetta ultraterrena di un padre non amato. Andrea è suo malgrado l’unico a svelare un delitto irrisolto, ma per timore tace e si porta dentro il peso della sua vigliaccheria. E sullo sfondo c’è Alvise, un misterioso scrittore di dubbio talento e sconfinata ambizione. Non inganni la tonalità dimessa della scrittura, Viviana sa essere amara e sapienziale : “Mio padre voleva che diventassi medico, come lui… Perché dovrei curare la sofferenza delle persone, se nessuno sa curare la mia ?” Evocativa di una levitazione fantastica alla Italo Calvino, la scrittura della Viviani nella scoperta dell’amicizia, dell’amore, del sesso, della morte, tutti orizzonti di conoscenza primaria, ha il raro dono di tenere subito incollato un lettore che sempre più stenta a ritrovare questo incanto nei tanti brutti libri che si pubblicano oggi, di cui nei grill delle autostrade sono in bella mostra proprio quelli che meno sarebbe raccomandabile leggere.

di Roberto Pazzi